La listeriosi è una malattia infettiva, dalla incidenza molto rara, che si trasmette con gli alimenti e provoca vari sintomi, arrivando anche ad essere mortale nei casi più gravi. Ed è forse questa l’intenzione del progetto Listeriosis: infettarci con una musica che si insinua come un veleno sottile e letale nella carne. Si tratta di una one man band, della quale non si hanno praticamente notizie, se non la provenienza: Sud Africa, paese non esattamente noto per la scena metal, tantomeno estrema. Sarà forse per questa inusuale origine geografica, sarà per la registrazione decisamente grezza ed artigianale che conferisce al tutto una patina polverosa e dannatamente retrò, sarà per un certo piglio ruspante e naif, eppure il black metal che possiamo ascoltare in questo “Skin Hunger” (immagino sia il debutto di questo progetto) risulta sorprendentemente affascinante, misterioso e per nulla banale, ricco anzi di spunti interessanti e di idee a loro modo originali. Di base il nostro ci propone un black ancestrale e ruvidissimo, che per sound ed atmosfere potrebbe essere descritto come l’ipotetico punto di incontro tra Black Funeral e Lamentu e che spesso assume la forma di striscianti ed angoscianti nenie ai limiti del depressive, dove distorte ed ossessive linee di chitarra fanno da tappeto a rantoli ed urla lancinanti e filtratissime. Questa descrizione appare particolarmente calzante per la conclusiva “An Endless Collapse”, una lunga marcia funebre colma di necrotica disperazione, e per le iniziali “Shadows” e “Serpentine Emancipation” che, in più, presentano anche qualche inaspettato squarcio acustico dal sapore blueseggiante. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non si tratta di una trovata sporadica ma di un tema ricorrente nell’album, tanto che “And She Danced In Your Skin” è una traccia strumentale interamente acustica, una sorta di blues sporco e rancido, che ci trascina direttamente sotto il sole cocente, tra sudore e malessere, concentrando in circa un minuto e mezzo l’aura morbosa che pervade tutto il disco. Quello appena citato non è l’unico episodio dal respiro in senso lato sperimentale perché la voglia di osare è una caratteristica di tutta l’opera: “Flames Of Pleasure” è un pezzo rumoristico, dove le calme note della chitarra sono sovrastate da un ululato mostruoso e dissonante, poco più di un minuto e mezzo di puro e disumano dolore; “A Necrotic Erosion Of Flesh” abbina ad una voce radiofonica, che sembra rubata da un documentario, divagazioni chitarristiche dal gusto southern, grasse, sature e pesanti, che si conficcano direttamente nel cervello; “Thrown Onto Jagged Rocks” è pura rabbia iconoclasta e distruttiva che sfocia in un finale noise piuttosto disturbante; “Retinal Fallacy” infine associa al furore black metal una ritmica tribale oppressiva che non lascia scampo e trasporta l’ascoltatore nel bel mezzo di qualche oscuro rituale magico. Qualcuno potrebbe trovare indigeribile la produzione, che in effetti è molto approssimativa, ma io dico che si tratta invece di un ulteriore valore aggiunto di questo lavoro: si fa, come si suol dire, di necessità virtù e si ottiene il massimo del coinvolgimento emotivo con i pochi mezzi a disposizione. Era da diverso tempo che non mi entusiasmavo in questo modo per un lavoro black undeground, ambiente nel quale ormai, a parte qualche sporadica e meritevole eccezione, la regola sembra essere la superficiale e sistematica ripetizione di stilemi consolidati, senza nulla di personale e sentito: “Skin Hunger” invece suona autentico; è putrido, maleodorante, malato e fuori dagli schemi ai quali siamo abituati a livello sia musicale che concettuale; una volta tanto niente foreste innevate preconfezionate e satanismo a buon mercato. Peccato che un piccolo capolavoro di tal fatta sia destinato probabilmente a passare inosservato e ad essere quasi certamente snobbato dai circuiti “ufficiali”. Ma forse, in fin dei conti, è meglio così…
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