Secondo album per la creatura Ildjarn, quello che forse più ancora dell’omonimo debutto e del successivo “Strength And Anger” rappresenta al meglio il lato iconoclasta e raw del progetto di Vidar Vaaer. Ventidue pezzi della durata media di uno-due minuti ciascuno, ventidue schegge impazzite di ghiaccio che vorticano nel vento del Nord, ventidue coltellate dirette al cervello dell’ascoltatore. Ildjarn ha un sound così estremo e senza compromessi che o lo si ama alla follia o lo si odia senza mezzi termini. Personalmente ho sempre reputato questo disco, insieme ai due citati in precedenza, come la massima espressione dell’aspetto primitivo, selvaggio e bestiale di un black metal che riesce comunque a conservare tutta la magia ed il misticismo delle terre nelle quali è stato concepito. La poesia della foresta è musicata con pochi mezzi ed in modo assolutamente essenziale e genuino: riff semplicissimi e graffianti, a metà strada tra punk e Bathory; batteria dal classico suono “pentolaccia” costantemente su up tempos molto tirati; un basso martoriato e profondo, suonato alla Lemmy, come se fosse una chitarra ritmica; una registrazione grezza e acuta; una voce demoniaca e filtrata che vomita in continuazione incubi e visioni notturne. Il freddo puro ed incontaminato del cielo invernale, l’infinita oscurità dei boschi innevati, la lontananza intangibile delle stelle che si fanno rumore rozzo, blasfemo e colmo di rabbia. Prendere o lasciare.
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