Ci hanno fatto attendere ben sette lunghi anni i tedeschi Menhir per dare alle stampe un seguito a “Ziuwari”, album, risalente appunto al 2001, tra i più rappresentativi del filone pagan black. “Hildebrandslied” costituisce la quarta fatica discografica sulla lunga distanza per i nostri, un lavoro che si attesta un gradino più in basso del suo illustre predecessore e ci consegna una band sicuramente ancora in salute, ma abbastanza distante dal suo periodo di maggior splendore. Innanzi tutto gli aspetti positivi. Il disco si presenta in una confezione davvero lussuosa, in formato A5 con decorazioni ornamentali e foto in costume d’epoca davvero suggestive. La produzione è sufficientemente potente, ma per nulla plastificata e lascia emergere la ruvidità dei suoni e di alcune soluzioni strumentali. Il gruppo, infine, dimostra di padroneggiare con grande maestria la materia pagan, costruendo pezzi perfettamente bilanciati tra epicità e tragicità. Emblematici sotto questo punto di vista sono i due episodi nei quali è suddivisa la title track, nostalgici, malinconici, sognanti e intrisi di un feeling arcaico che resta inarrivabile per la maggior parte dei gruppi dediti a questo genere di sonorità. Buona anche la ricerca lirica: i testi riprendono infatti le vicende di cavalieri ed eroi contenute nell’”Hildebrandslied”, una delle prime testimonianze ufficiali della letteratura tedesca scritta in lingua germanica, risalente al IX secolo. L’album presenta anche, a mio avviso, alcuni difetti. Nei nostri sembra essere in parte scemato quell’ardore guerriero e barbarico che innervava le note di “Ziuwari”; sono molto meno evidenti i richiami all’opera dei Bathory e questo va a discapito dell’immediatezza e della carica emotiva dei pezzi, che risultano meno grezzi che in passato, più controllati e in qualche modo studiati, avvicinandosi nel riffing e nella struttura agli ultimi lavori di Falkenbach e Moonsorrow. Personalmente avrei preferito che la band teutonica avesse proseguito lungo il percorso tracciato con il precedente album, che mi aveva sorpreso per freschezza e “ingenuità” compositiva. Certamente questo lavoro non deluderà i fans del pagan/black più colto e raffinato, ma se associate questo genere musicale a realtà quali Juvenes, Morrigan o anche primi Enslaved, può darsi che questa prova dei Menhir vi lasci un leggero amaro in bocca. Resta comunque un disco molto valido, da sentire e da avere.
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