Terza fatica sulla lunga distanza per i canadesi Revenge, a quattro anni di distanza dal precedente “Victory.Intolerance.Mastery”, risalente appunto al 2004. Anche in questa occasione vengono scrupolosamente rispettate le tradizioni di ogni uscita targata Revenge, ovvero il titolo formato da tre parole apparentemente slegate tra loro e separate da un punto ed il cover artwork ultra minimale con simbolo bianco (quasi sempre un teschio) su sfondo nero. Anche la musica proposta non si discosta di una virgola dall’ormai classico trademark della band, anche se dai tempi del debut “Triumph.Genocide.Antichrist” del 2003, i nostri hanno affinato le proprie capacità e meglio individuato i propri obiettivi. Il combo di Alberta, guidato da Pete Helmkamp (in forza anche agli Angelcorpse), resta fedele al più brutale, caotico e letale black/death vecchio stampo, ma in questo album riesce ad esprimere furia e violenza in modo così dirompente e distruttivo come mai prima d’ora. I pezzi (tutti caratterizzati da un doppio titolo) creano una confusione sonora compatta ed estremamente disturbante, anche a causa di una registrazione polverosa e marcissima. Sotto questa pesante coltre di grezzume in musica, l’orecchio attento riuscirà a cogliere l’andamento pastoso e graffiante dei riffoni assassini di matrice thrash/black anni ottanta che innervano le songs, anche se il primo elemento che colpisce l’attenzione è proprio l’estrema monoliticità del muro sonoro costruito dalla band. Le vocals sono urla disumane che spesso sfociano in grugniti in un growling gutturale e cavernoso. Impossibile non provare un senso di disagio, quasi di fastidio, all’ascolto della cacofonia bestiale messa in musica dai Revenge. Un senso di fastidio che penso sia nell’intenzione dei nostri suscitare attraverso un songwriting impastato all’inverosimile che sfocia in un putridume old school malato, decadente e militante, un’orchestrazione sapiente, fredda e chirurgica di scenari post apocalittici e metropolitani. Prendere o lasciare, perché una proposta come quella dei Revenge, così estrema e senza compromessi, non può che suscitare reazioni diametralmente opposte tra chi li sostiene e quanti considerano la loro musica alla stregua di rumore fine a sé stesso.
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