È abbastanza curiosa la storia dei Filii Eliae, band nostrana proveniente da Salerno. Il progetto nasce per volontà di Roberto e Maurizio Figliolia – qui con gli pseudonimi rispettivamente di Ossibus Ignotis e Martirium – dopo che i due, sul finire degli anni ottanta, avevano dato vita ad un seminale gruppo di thrash-speed metal chiamato niente meno che Mayhem, il quale, dopo aver dato alle stampe il demo “Hate And Pain”, aveva cambiato nome in Enslaved, rilasciando qualche anno più tardi un demo con lo stesso titolo. Omonimie impegnative a parte, i Filii Eliae – formatisi nel 2010 – dovrebbero essere la reincarnazione musicale di quelle vecchie realtà, anche se dal punto di vista stilistico ne sono molto distanti, pur radicando il loro modo di essere in un’attitudine dannatamente old school, come si intuisce immediatamente, dando anche soltanto un’occhiata all’immagine di copertina ed all’artwork di questo “Qui Nobis Maledictum Velit”, prima fatica sulla lunga distanza dei nostri, edito sotto l’egida della Lux Perpertua Records. I Filii Eliae sono fautori di un doom/heavy metal sporcato da influenze speed/black, specie nelle parti più violente ed aggressive, non molte in verità. Ma l’intento della band non è quello di dare libero sfogo alla proprio furia distruttiva quanto piuttosto quello di creare una malsana atmosfera cimiteriale, descrivendo attraverso le note una tetra processione funebre, che avanza lenta, sotto l’incessante pioggia autunnale: ed proprio questa la fantasticheria che si forma davanti agli occhi all’ascolto dei rintocchi di campana che fungono da intro dell’opener “Mors Mecum Veniet”, mentre la mente vaga tra suggestioni che riportano a St.Vitus, Pentagram, Tristitia e primi My Dying Bride. Il senso di sconforto è acuito da una certa grigia malinconia, veicolata attraverso melodie ed assoli di facile presa intrecciati dalla chitarra, che tradiscono il debito della band verso il metal classico di scuola ottantiana. I Filii Eliae sono abili nel conferire alle composizioni un gusto macabro ed un sapore rituale, che li rendono degni continuatori della tradizione più nobile dell’occult metal tricolore (Mortuary Drape, Paul Chain, Necromass e Death SS, dei quali peraltro Maurizio Figliolia è stato chitarrista per un breve periodo). Da non trascurare anche un certo lato teatrale, che prende corpo nella musica dei nostri attraverso l’uso intelligente delle tastiere e le liriche interamente in latino, quasi recitate con le loro aspre spigolosità metriche. L’abbondanza di riferimenti stilistici denota la natura sostanzialmente derivativa di un album che riesce comunque a colpire nel segno, grazie ad un impasto fangoso e monolitico nel quale le pesantezze doom la fanno da padrone. Per tutti gli amanti delle sonorità più lugubri e funeree un ascolto è d’obbligo.
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