Nati come Delirium Tremens nel 2011, i romani Ulfhednar, dopo una serie di cambi di formazione, sembrano ora aver trovato una certa stabilità a livello di line up con Hevn alla chitarra, Eclipsis alla voce, Cerberus alla batteria e Dmitryus al basso. La band prende il nome dagli Úlfheðnar, leggendari e terribili guerrieri della mitologia norrena, che si coprivano il corpo soltanto con la pelle dei lupi. Questa figura viene utilizzata come metafora per descrivere l’approccio dell’ensemble capitolino, che con la propria musica si pone l’obiettivo di scagliarsi contro la vita, intesa come malessere connaturato alla condizione stessa di mortalità che tutti ci accomuna. Il concept mi pare francamente un po’ confuso e generico e non mi ha convinto nemmeno il dichiarato proposito di prendere le distanze dai luoghi comuni del black metal, con liriche che dovrebbero raccontare episodi ed esperienze di vita reale, dal momento che i membri del gruppo si fanno ritrarre in foto degne degli Immortal più coatti (lo dico con simpatia), con face painting d’ordinanza ed un enorme pentacolo in bella mostra: non proprio il modo adatto per differenziarsi da certi stereotipi. Questa ambivalenza, o per meglio dire non ancora perfetta chiarezza di intenti, riguarda anche la musica che possiamo ascoltare in questo “Mortaliter”, prima fatica sulla lunga distanza dei nostri, che vede la luce in formato cd autoprodotto in edizione limitata a centocinquanta copie: un black metal quadrato e feroce, chiaramente influenzato dalla scuola scandinava dei gloriosi e indimenticati anni novanta, imbastardito però da influenze estranee, che vanno dal doom al metal classico al death, specialmente per quanto riguarda l’uso abbastanza insistito del cantato in growling. In alcuni episodi questa mescolanza risulta funzionale: è il caso ad esempio della title track posta in apertura, caratterizzata da un main riff minimale e tagliente e spezzata da uno stacco doom che mi ha ricordato addirittura i Barathrum, efficace pur nella sua elementare linearità; oppure della conclusiva “Addicted To Tragedy”, piuttosto ben bilanciata tra aggressività black e melodie più heavy; o ancora della feroce “In Nomine Cuius”, probabilmente il pezzo più immediato e cattivo di tutto il disco. In diversi altri frangenti tuttavia la formula adottata non appare per niente fluida ed anzi le varie anime stilistiche sembrano costrette a convivere forzatamente, ingabbiate in strutture che le giustappongono e non permettono loro di fondersi ed integrarsi a dovere. Ho invece gradito la registrazione: non grezzissima ma polverosa come si conviene per una proposta del genere e decisamente vecchia scuola. Tirando le somme, a mio giudizio “Mortaliter” non è un lavoro pienamente riuscito: troppa carne al fuoco e forse la voglia di “strafare” hanno impedito al gruppo di esprimersi al meglio. Gli Ulfhednar però hanno amplissimi margini di miglioramento e soprattutto hanno idee: se riusciranno a metterle a fuoco e a svilupparle in maniere puntuale, asciugando un po’ i molti e dispersivi rivoli della loro vena compositiva, sono sicuro che ci faranno ascoltare in futuro della buona musica. Sufficienza d’incoraggiamento.
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