I Darkthrone hanno rappresentato negli anni i porta bandiera di quel black metal senza compromessi, grezzo ed incontaminato, ed il loro marchio di fabbrica è diventato facilmente riconoscibile in tutte le sue manifestazioni. Nonostante l’atmosfera esoterica e mistica dei primi album sia per forza di cose venuta meno nei lavori più recenti, la qualità di fondo che ha contraddistinto tutte le uscite discografiche dei nostri è sempre stata una spanna sopra a tutti quei gruppi della scena che si sono trovati sempre a prendere ispirazioni dallo stile darkthroniano; si sono trovati ad essere inseguitori, spesso indegni, dei maestri indiscussi del genere. Uno stile ben definito, coerente e senza mezzi termini, che, sempre con vena un po’ nostalgica, ha saputo dipingere svariate sfumature di odio. Era già intuibile dal disco precedente a questa nuova uscita, “Sardonic Wrath”, che il suono dei nostri si stava evolvendo da un ritorno alla pura matrice black avvenuta con il buon “Hate Them” verso lidi ancora più primordiali. Una maggiore ispirazione e varietà di idee ed un riffing più “old style”, unito ad una registrazione molto grezza, avevano rappresentato le caratteristiche sulle quali provare ad immaginare un’evoluzione futura. Era difficile, a dire il vero, aspettarsi cambiamenti stilistici troppo marcati da un gruppo come i Darkthrone. Era difficile aspettarsi qualcosa che potesse stupire. Ebbene questa volta un cambiamento di stile c’è stato, ma più di evoluzione si può invece parlare senza sbagliare di involuzione, di ritorno alle origini. Un suono debitore alla primissima scena dalla quale venne generato il black (Celtic Frost, Venom ed HellHammer su tutti), è il punto cardine su cui si basa e si sviluppa questo “The Cult Is Alive”. Nessuna svolta verso lidi moderni e sperimentali quindi, bensì una regressione evidente che porta alla frammentazione anche dello stile assunto con album come “Under a Funeral Moon”, a favore di una ripresa delle sonorità ancora antecedenti a queste. Sonorità che, a conti fatti, si possono definire di evil rock! Riff ammiccanti, molto old e particolarmente ispirati quindi, che mantengono solo leggere venature di quella coloritura totalmente misantropica ed antiumana dei primi lavori. Una svolta stilistica strafottente e improvvisa, che potrebbe far storcere il naso ai più. Da subito però quello che si evince dalle marce note di questo nuovo album è la ritrovata ispirazione dei nostri che, facendo evidentemente quello che si sentivano di fare, hanno dato sfoggio del loro bagaglio musicale sempre esistito ma mai così palesemente messo in mostra. Quindi si passa dalla chiarissima ispirazione Motorhead di molti brani, forse tendente ad assumere sfaccettature indemoniate, con un Nocturno Culto in splendida forma a rappresentare, con le sue vocals, la fonte espressiva più carica d’odio, fino ad arrivare a dedicare al recentemente scomparso e geniale Piggy dei Voivod la song “Atomic Coming”. Non mancano le sorprese a livello solista perché mai così massiccio era stato il numero di assoli di chitarra presenti in un solo disco dei Darkthrone. Utilizzando una distorsione particolarmente orrorifica, Nocturno Culto, che come sempre oltre a cantare suona basso e chitarra, si lascia andare in parti soliste certamente malate ma che non disdegnano di mantenere un certo gusto melodico di fondo. La prova dietro le pelli di Fenriz è veramente efficace, semplice ed essenziale, mai invadente, ma perfetta per accompagnare la musica. Fenriz inoltre si esibisce alle vocals in “Graveyard Slut” ed imbraccia la chitarra in “Tyster På Gud”, donando in questo modo impercettibili ma interessanti sfumature personali al lavoro. Questa volta i pezzi sono stati registrati in tempi lunghissimi considerando gli standard dei nostri, dal marzo all’ottobre del 2005, negli studi personali dei Darkthrone e mixati dallo stesso Nocturno Culto. Un lavoro interamente fatto in casa, che ha assunto una forma premeditata in tutti i suoi aspetti, anche a livello meramente sonoro. Parlando della registrazione devo dire che il suono è veramente ben equilibrato, lasciando trasparire tutti gli strumenti e donando all’album il giusto gusto necro, marcio ed incline alle registrazioni più datate. Già dalla traccia d’apertura, “The Cult Of Goliath”, caratterizzata da un main riff che si stampa subito nella mente dell’ascoltatore, si intuisce in tutta la sua evidenza il nuovo stile dei nostri, ribadito nelle due successive tracce, questa volta ancora più semplificate e dotate di un ritornello molto semplice. “Graveyard Slut” mette in evidenza al cantato un Fenriz che fa il verso ai suoi Isengard, con vocals molto meno epiche e particolarmente ammiccanti, supportate dal muro sonoro forse più soft dell’intero disco. A seguire arriva puntuale una song black metal al 100%, “Underdogs And Overlords”, che rappresenta senza dubbio l’episodio più chiaramente accostabile all’ultimo suono darkthroniano e che sin dalle sue prime note ribadisce l’ottima prestazione vocale di Nocturno Culto, davvero espressivo e in forma per tutta la durata dell’album. Con la successiva “Whisky Funeral” si ritorna sui binari iniziali; smussando la colata di cattiveria della precendente traccia, il riffing dissonante che struttura il pezzo rimane comunque ispirato nella sua disarmante semplicità. Il disco, dotato di un arwork ben curato e dalle tinte dark, prosegue senza cedimenti, arrivando all’epica e cadenzata “Forebyggende Krig”, ancora a manifestare l’ispirazione senza fine presente in questo “The Cult Is Alive”. Un solo di chitarra si eleva sul riffing cadenzato e la musica sfuma, chiudendo un album semplicissimo ma che non esito a definire monumentale. Quello che è evidente è la presenza di molteplici tocchi di classe che, uniti ad un’indole che rispolvera il rock più grezzo e diretto, costituiscono gli ingredienti per una proposta sopra le righe. Per informazione, l’album è uscito in edizione speciale, contente il primo video della storia dei Darkthrone, precisamente di “Too Old, Too Cold”, canzone contenuta oltre che in questo “The Cult Is Alive” anche nel primo cd singolo dei nostri, uscito in data immediatamente antecedente al full ed inoltre in versione limitata in formato vinile. Magari questo comportamento non sarà estremo e abbastanza “evil” per molti blackster modaioli dell’ultimo minuto, ma forse è più estremo oggi come oggi mostrare una sincerità che pare i nostri non abbiano perso con gli anni. Forse molti preferiscono la totale e succube assenza di idee pur che questa sia accompagnata da qualche slogan dalle tinte forti; penso che nessuno obbligherà questi eterni detrattori ad ascoltare un disco che ha come unica pecca il voler essere troppo sincero, cosa che lo porta inevitabilmente a distinguersi dalla massa. Tornando al lavoro, questo è un disco che non piacerà a tutti, che non mette da parte definitivamente il marchio black metal, ma che piuttosto lo diluisce e lo fa emergere in piccole dosi, in piccole sfumature. Sicuramente ci vuole una bella faccia tosta a proporre una simile svolta stilistica, specialmente se si parte da uno status universalmente riconosciuto di band di riferimento, ma i Darkthrone sono stati sempre inarrivabili in questo genere e riflettendoci bene “The Cult Is Alive”, dodicesimo full per i nostri, basa le sue fondamenta su di una concezione per molti vecchia ed obsoleta e su un bagaglio musicale primordiale. Chiuderei con una frase di Fenriz riferita a questo album, “call it black metal or evil rock, I don’t care”. Penso non ci sia altro da aggiungere se non che lo stile inaugurato dai Darkthrone con questo lavoro, come l’unholy black metal dei primi dischi, è stato imitato da decine e decine di gruppi negli anni a venire, il che la dice lunga sul valore dell’opera.
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