Seconda fatica sulla lunga distanza per gli Harakiri For The Sky, duo proveniente dall’Austria, a circa due anni di distanza dall’esordio autointitolato, pubblicato nel 2012. La band prosegue nel proprio percorso stilistico, che affonda le radici nel black metal di matrice depressiva e si sviluppa seguendo i sentieri tortuosi del post rock, sulla scia di diversi altri gruppi che negli ultimi anni hanno esplorato i medesimi territori espressivi, come Lantlôs, Heretoir o Amesoeurs, tanto per citarne alcuni. Gli Harakiri For The Sky hanno dalla loro la capacità di miscelare con grande naturalezza l’elemento più aggressivo – eredità di un portato black mai sopito – con una ricerca della melodia malinconica di facile presa che ricorda molto gli ultimi lavori dei Katatonia o dei nostrani Forgotten Tomb. Queste due anime innervano la musica dei nostri, che trova compiuta maturazione in “Aokigahara”, disco suadente e giocato soprattutto sul lato emozionale, ispirato al così detto “mare di alberi”, ovvero un bosco situato alle pendici del monte Fuji in Giappone, dove ogni anno si verificano numerosi suicidi. Intorno a questo fulcro concettuale, alimentato da un dato reale e dalle credenze che da questo derivano, si dipana una musica misteriosa e lineare al tempo stesso, che dipinge scenari di profonda tristezza esistenziale e di disagio urbano. L’originalità non è certo quello che ricercano i nostri: piuttosto gli Harakiri For The Sky riescono a dare corpo con fluidità e senza forzature ad una gamma di sentimenti negativi attraverso pezzi che scorrono tesi tra la rabbia e lo sconforto, con tutte le sfumature che stanno in mezzo. Anche il versante lirico ha la sua importanza, così come il cantato che rende ulteriormente evidenti i cambi di atmosfera per mezzo di tonalità ed approcci diversificati: vi sono infatti molti ospiti alle voci come Torsten degli Agrypnie (“Burning From Both Ends”) o Seuche dei Fäulnis (“Jhator”), bands con le quali i nostri hanno condiviso il palco in questi anni. Tra momenti di autentica disperazione, arpeggi decadenti, sprazzi di carezzevole dolcezza e plumbei rallentamenti, il disco scorre come un viaggio grigio ed onirico. “Aokigahara” è una prova decisamente positiva: la dimostrazione di come si possano in qualche misura reinventare con pochi ed efficaci accorgimenti sonorità ormai da tempo inflazionate. Un disco che piacerà sicuramente a tutti gli amanti del depressive “evoluto”.
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