erza fatica sulla lunga distanza per gli svedesi Vanhelga, progetto partito come one man band dietro la quale si celava il mastermind J. Ottosson (altrimenti noto con il misterioso pseudonimo di 145188) e divenuto oggi un gruppo a tutti gli effetti, con l’ingresso in pianta stabile nella line up di altri musicisti, tra i quali J. Gabrielson (anch’egli conosciuto con uno pseudonimo “numerico” ovvero 1853), proveniente dai più noti Lifelover. Rispetto ai precedenti lavori, che già presentavano diversi spunti di interesse, questo “Längtan” mette in mostra una notevole maturazione compositiva, oltre ad un certo cambiamento stilistico, pur nella sostanziale continuità con quanto proposto dalla band in passato. I Vanhelga attuali si muovono infatti nei territori indefiniti di un depressive black metal sporcato ed imbastardito da massicce dosi di post rock, che alterna passaggi grezzi ad altri più avvolgenti e malinconici e che travalica ogni convenzione di genere ed ogni facile catalogazione. I principali riferimenti stilistici si possono individuare nei già citati Lifelover e nei Woods Of Infinity od ancora nei nostrani Laetitia In Holocaust: i pezzi sono come decomposti e spezzettati e si reggono su geometrie bizzarre ed inconsuete; si diffondono come una nebbia malsana, lasciando completamente disorientato l’ascoltatore abituato ad un certo tipo di musica estrema più legata alla solite consuetudini. Qui le chitarre distorte costruiscono una sorta di tappeto sonoro, che resta perennemente sullo sfondo, e su questo paesaggio cupo e disorientante si delineano le trame delle chitarre acustiche e delle tastiere, vere protagoniste della musica oscura e carica di odio proposta dai Vanhelga. Escludendo qualche sporadico eccesso di aggressività più canonicamente black metal, l’andamento generale dei pezzi è crepuscolare e vengono privilegiate decisamente la tristezza e l’introspezione, grazie ad una ricerca melodica notevole, con momenti che possono ricordare vagamente i connazionali Dissection. La voce è un caleidoscopio delirante: un’alternanza tra screaming rabbioso, parti sussurrate e narrate, esplosioni insensate di urla, gemiti e scoppi di pianto, in una follia totale come non si sentiva dai tempi del debutto dei Silencer. Tutto ciò a descrivere un concept incentrato sulla morte, intesa non come fine di tutto ma come passaggio ad un’altra dimensione, di pace e completezza vitale. Il vero manifesto della band è la conclusiva “Exploderande Känslostorm”, suite di dieci minuti di durata, che riassume perfettamente il credo artistico dei nostri. I Vanhelga hanno forse trovato la loro via personale e sembrano percorrere il sentiero che conduce alla pazzia incuranti di ogni stereotipo: “Längtan” è un disco spiazzante, che piacerà a coloro che non continuano a volgere lo sguardo al passato.
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