Il sound dei Vordr, come quello dei loro compagni di etichetta Odelegger, è fortemente influenzato dalla lezione dei primi Darkthrone e della “sacra” triade Celtic Frost, Bathory, Hellhammer: un black metal diretto, incazzato e senza fronzoli, quindi, sporcato col trash più putrido e marcio in una miscela letale ed esplosiva. I brani sono tutti piuttosto brevi e diretti, costruiti su un riffing che più minimale non si può, su un drumwork indiavolato e primordiale anche se comunque prevedibile e caratterizzati da una spiccata attitudine punk, che rende i Nostri votati alla velocità e alla follia più pure. I Vordr sono tuttavia abili nell’alternare a brani di questo tipo altri dal sound decisamente più corposo e penetrante, tutti giocati su riffs lenti ed ossessivi che si ripetono all’infinito creando un’atmosfera densa ed emotiva che opprime l’ascoltatore trascinandolo in un turbine di gelo ed inverno eterni, in scenari affascinanti e paurosi allo stesso tempo, come quello raffigurato sulla cover dell’album. La voce in modo particolare contribuisce a rendere quasi palpabile questa sensazione di freddo pungente che avvolge senza via di scampo: il cantato di Gand (questo il nome del singer, che insieme ad Elemental alle chitarre e Vitterholm alla batteria incarna il progetto Vordr) è scarno ed essenziale, la voce è stridula, sembra provenire da distanze infinite, lontana e sofferente, quasi riuscisse a fatica a farsi sentire da una prigione di ghiaccio, è una sorta di incrocio tra quella, insuperabile, del Conte e quella, altrettanto agghiacciante ed inconfondibile, di Satanic Warmaster. La produzione è in linea con le uscite della Nikta: primitiva ed artigianale, mette in primo piano soprattutto il sound delle chitarre a scapito, come spesso accade, degli altri strumenti. In definitiva un lavoro non trascendentale ma comunque buono, anche se ho l’impressione che i Vordr potrebbero dare molto di più se accantonassero alcune soluzioni eccessivamente semplicistiche votandosi ad una ricerca creativa di maggior spessore. In effetti i brani più ragionati come “Winter desolation” o “Veil of sorrow”, pur non perdendo un briciolo di rabbia ed aggressività, sono quelli in cui la band riesce a dare il meglio di sé, instillando un senso di cupa e depressiva desolazione che difficilmente potrà lasciare indifferente l’ascoltatore. Un disco consigliato quindi anche se da questo gruppo mi aspetto il definitivo salto di qualità già a partire dal prossimo lavoro.
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