Il terzo full targato Furze arriva a dieci anni di distanza dalla nascita della ormai one man band norvegese, dietro la quale si nasconde il factotum Woe J. Reaper. Ci sono alcuni dischi che risultano sin da subito ambigui e difficili da digerire ed è il caso di questo “UTD” che, mettiamolo subito in chiaro, non rappresenta nulla di particolarmente sperimentale o personale, considerando che buona parte dei riff sono tranquillamente riconducibili ai Darkthrone. Spesso la sconsiderata estremizzazione delle basi del black, quelle rintracciabili nei dischi di fine anni ottanta – inizio novanta, finisce per far apparire questa proposta una parodia del genere, più esilarante che realmente oscura e malata. Un altro aspetto che non riesco a considerare positivo è il continuo variare del tema dei brani senza nessuna motivazione compositiva valida, come il voler appiccicare giri di riff che non hanno nulla in comune. La componente caotica nel songwriting è altissima e se unita alla registrazione alla “Under A Funeral Moon” rende il lavoro molto disturbante per la sua sonorità grezza e questo rappresenta sicuramente un aspetto positivo. Come detto, la proposta segue lo stile norvegese, riprendendo in parte un’indole che può essere rintracciata, durante alcune soluzioni lanciate e caotiche, nella variegata scena finlandese. E’ in evidenza anche una componente di funeral doom, che realmente è riconducibile a qualche riff rallentato e mortifero, mai eccessivamente estremizzato a tal punto da assumere i connotati del succitato genere. Più marcata invece l’influenza sabbathiana, ben evidente ad esempio nella parte iniziale della conclusiva “Djerve Djevel”. Dal canto suo l’opener “A Life About My Sabbath” fa partire bene il lavoro, che però con lo scorrere del minutaggio cala di intensità, qualità e credibilità, a causa delle tante idee messe in gioco senza una doverosa struttura e quasi a casaccio (“Goatbreath” è un esempio di bassezza compositiva). Sicuramente qualche spunto interessante per gli estimatori del black metal di classica matrice norvegese è presente in qualche sporadico episodio degno di nota. Ma la linea che separa la genialità dalla mediocrità mascherata è sottile e qui, a mio avviso, viene più volte superata.
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