Dopo cinque anni di silenzio, giunge alla terza fatica sulla lunga distanza il progetto Skoll, band capitanata da M. (Darkness, Opera IX, The True Endless), che con “Grisera” torna sui consueti sentieri del pagan black metal battuti fin dagli esordi, relegando in secondo piano l’elemento più squisitamente folk, protagonista assoluto del precedente “Misty Woods”, esperimento completamente acustico. Il maggior punto di riferimento compositivo sono senz’altro i Bathory più epici e drammatici (quelli di “Hammerheart” e “Blood Fire Death”, per intenderci) e l’omaggio a Quorthon appare evidente nella prima traccia (“Grush”), lunga suite di oltre dieci minuti di durata, introdotta da flebili arpeggi di chitarra acustica, che sfocia poi in un mid tempo marziale, interrotto da stacchi puliti e melodici, sottolineati dalle tastiere di Lunaris. La patina raw, dovuta anche ad una registrazione abbastanza grezza ma comunque potente, è sempre ben presente ed innerva tutti i pezzi, mettendo in mostra l’anima black oriented del gruppo. Nella title track si respira invece un’atmosfera di malinconica intimità, specie nella parentesi alla Ulver, nella quale le trame del violino di Laura Furor Gallico si intrecciano efficacemente alle linee di chitarra. Il pathos guerriero si manifesta nuovamente nella successiva “Hrothaharijaz”, facendo sentire in tutta la sua barbarica furia l’antica potenza degli antenati che fieramente abitavano le terre d’Italia. Il brano è trascinante e potrebbe essere tranquillamente uscito da qualche disco dei Falkenbach. Piccola annotazione storica: Rotari, il re dei Longobardi celebrato nel pezzo, fu un guerriero indomito ma viene ricordato soprattutto per il celebre editto, con il quale codificò il diritto del suo popolo, fino ad allora legato alla tradizione orale, limitando fortemente il ricorso alla violenza privata ed alla pena di morte. La conclusiva “Wolves In The Mist” ripropone tutte le caratteristiche del sound della band, senza particolari variazioni. Il maggior limite del disco è probabilmente quello di riproporre in modo troppo canonico i classici stilemi del genere prescelto, rifacendosi con ossequio ai maestri. Ed infatti l’orecchio esperto potrà facilmente riconoscere influenze provenienti, oltre che dai gruppi già citati, anche da Moonsorrow, Manegarm, Himinbjorg, Drudkh o ultimi Graveland. Poco male però: siamo comunque di fronte ad un buon lavoro di pagan black metal, suonato con passione e devozione, che non potrà che soddisfare i fanatici di queste sonorità.
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