“Order Of Vengeance” è la seconda fatica in studio per la one man band formata dal misterioso Nightwolf, in veste di factotum incappucciato proveniente dalla terra dei canguri. Chi si aspetta un sound solare, tipico delle spiagge australiane, che incentiva il consumo di freschi mojito dopo una bella surfata tra le onde oceaniche in compagnia di qualche affamato squalo, cambi subito idea in quanto è totalmente fuori strada. Il seguito del fortunato debut album “Unhallowed Blood Oath” non è un disco di metalcore alla Parkway Drive ma sembra piombare direttamente da qualche gelido fiordo norvegese o da qualche innevata foresta dell’estremo nord Europa popolata da creature mistiche e altrettanto pericolose. Qui si suona un black metal totalmente debitore alla scena scandinava del tempo che fu tra uno scudo, una spada e un elmo in testa a coronamento dell’opera. Niente orpelli delicati e ruffiani, a Nightwolf non gliene frega un cazzo; lui vuole solo trasmettere il suo folle amore per il medioevo, per le battaglie all’ultimo sangue e l’acciaio. I lupi ululano e Nightwolf ruggisce con il suo scream/growl soffocato, come un combattente affaticato dopo una guerriglia a mani nude con animali selvatici o una lunga camminata in mezzo a una tempesta di neve, e ci accompagnerà costantemente per tutte le sette tracce (sei canzoni più una strumentale) rivendicando i tempi andati così lontani ma così vividi nel suo cuore. La nuova fatica dei Runespell è una bestia a due teste, e se da una parte ci porterebbe all’esaltazione, dall’altra gli entusiasmi sono frenati da ben validi motivi che credo sia corretto argomentare in maniera più dettagliata. Il black metal che scorre nelle vene di questo dischetto è dannatamente onesto ed efficace, ma ciò che più conta è che fa centro dove dovrebbe: l’alternarsi di sfuriate blast alternate a mid tempos in un saliscendi coerente e ben strutturato rende l’ascolto davvero interessante, le linee melodiche ci portano in un campo di battaglia insanguinato dove pochi rimangono in piedi per riabbracciare i propri cari che li attendono a casa dopo la lunga guerra. Le chitarre disegnano linee melodiche profonde come ferite di spada grondanti sangue nei corpi dei nemici, rimangono impresse nella mente e ti fanno viaggiare con la testa in epoche lontane, e se l’iniziale “Retribution In Iron” è maestosa nelle sue atmosfere e cambi di tempo, la seguente “Destiny Over Discord” ci appare come una carica umana all’urlo di battaglia di Nightwolf col suo andamento impavido e fiero. Il tempo di rifiatare giusto un attimo e bere un infuso magico nella taverna con l’acustica “Night’s Gate”, che funge da spartiacque tra il lato A e il lato B, per poi rituffarci sui luoghi del massacro vichingo: “Blood Martyr” lascia parlare il titolo, mutandoni di pelle e stivaletti alati per noi e via a distruggere i nemici con rabbia efferata. Le canzoni funzionano dannatamente bene ma il problema che non ci fa apprezzare a dovere questo lavoro per il resto davvero ben riuscito è la produzione. Il platter in questione risulta dannatamente danneggiato da una produzione che dire non all’altezza è un eufemismo. La prima cosa che salta alle orecchie è il volume basso di registrazione che ci porta a girare verso destra la manopola del nostro impianto stereo per poter sentire in maniera almeno dignitosa ma pure così ci si rende conto che è proprio un difetto di studio (mi auguro che non sia una scelta voluta); sia le chitarre che la batteria in alcuni punti sono inudibili in favore della voce, spesso monocorde ed effettata, che pare registrata in uno scantinato e che spesso e volentieri sovrasta tutti gli strumenti. Ne escono danneggiate le melodie che le chitarre tessono in continuazione, i main riff e tutti i filler di batteria, spesso e volentieri incomprensibili, generando così quasi un fastidio nell’ascolto e penalizzando la riuscita finale del disco. In conclusione se questo “Order Of Vengeance” avesse avuto una produzione, non dico buona, ma semplicemente sufficiente, qui si parlerebbe di un gran bel disco di viking black metal; purtroppo, per chi scrive non c’è stato il balzo di qualità rispetto al debut, già di per sé positivo. Va bene essere fedeli alla vecchia scuola, va bene che il black non è un genere per signorine ma ricordiamoci che oggi nel mercato ci sono tantissime bands che con pochi spiccioli usufruiscono di produzioni più all’altezza che, spesso e volentieri, fanno la differenza nella qualità di un prodotto.
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