Dopo ben nove anni di assoluto silenzio tornano a far parlare di sé gli alessandrini Enthroning Silence, band composta da ex membri di Mortuary Drape, Bophal, Eroded e Voids Of Vomit e tra le prime nel nostro paese a proporre sonorità di stampo classicamente depressivo. “Throned Upon Ashes Of Dusk” è la loro terza fatica sulla lunga distanza e segue l’esordio del 2002 “Unnamed Quintessence Of Grimness” ed il successivo “A Dream Of Nightskies” del 2004, che tanto ben avevano impressionato pubblico e critica. I brani compresi in questo lavoro sono stati registrati in differenti sessioni tra il 2005 ed il 2013 ed il tempo sembra davvero essersi fermato per i nostri, che non indulgono in alcuna variante stilistica, riproponendo i medesimi stilemi dei primi due albums. Depressive black metal ortodosso e canonico quindi, sulla scia di Abyssic Hate, Wigrid, Silencer e primi Shining. I pezzi hanno tutti una durata intorno ai dieci minuti, presentano il tipico andamento dilatato ed ipnotico e sono costruiti sull’alternanza tra parti più grezze e disperate e momenti più riflessivi e malinconici, sottolineati dai consueti arpeggi melodici, avvolgenti e circolari. Il cantato fa la sua comparsa sporadicamente e si sostanzia in uno screaming gelido e distante, proveniente da inaccessibili abissi di dolore. Benché le pulsazioni del basso siano abbastanza udibili e conferiscano una certa corposità ai suoni, tutto si regge di fatto sulle trame chitarristiche, che si intrecciano senza fretta, procedendo lente e pesanti e trascinando l’ascoltatore in un gorgo emotivo carico di nera negatività. Anche se fondamentalmente identici a sé stessi, gli Enthroning Silence non sono certo dei novellini e riescono a mantenere desta l’attenzione con qualche minimo cambiamento ritmico e qualche improvvisa accelerazione: elementi che tuttavia non scalfiscono quello che resta un monolite sonoro digeribile soltanto da parte di quanti hanno sempre amato alla follia le sonorità in questione e sapranno porsi nella giusta sintonia emotiva con il disco. Personalmente ho percepito una certa stanchezza compositiva; non è semplice mantenersi genuini nell’ambito di un sottogenere che oggi più che mai sembra essere esausto ed inflazionato: i nostri ci riescono in parte ed in parte si riciclano abilmente.
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