Benché non molto noti, gli Ohtar, band proveniente dalla Polonia, sono giunti con questo “Human Fuel Of Death” alla loro terza prova sulla lunga distanza. I nostri, fin dai demo d’esordio, sono fautori di un furioso e malsano black metal legato a tematiche antiumane, che si intreccia con partiture death, in un equilibrio tra violenza ed atmosfera che trova in questo disco la sua espressione più compiuta. Gli Ohtar infatti non si limitano soltanto a pestare come degli indemoniati, ma riescono a conferire ai pezzi il giusto feeling, lugubre e fetido, che sottolinea al meglio un concept assolutamente esplicito e feroce. Vi sono alcune parti marcatamente thrash oriented, come accade di consueto in questo genere di lavori, specie se provenienti dall’Europa dell’Est, ed altre dove invece si fanno sentire in maniera preponderante influenze death che sconfinano addirittura nel brutal. Anche il cantato è un mix tra uno screaming lacerante e diabolico ed un growling che sfocia quasi sempre in incomprensibili rantoli gutturali e cavernosi. La band inserisce anche qualche vaga e sinistra linea melodica che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non stona affatto nel contesto generale, ma anzi contribuisce ad aumentare la sensazione di “marcio” che si ha all’ascolto. Le parti migliori dell’album sono però quelle nelle quali i nostri alzano il piede dall’accelleratore e prendono a macinare riff oscuri e pesanti dal sapore quasi doom. In questi frangenti, i più riusciti dal lato del coinvolgimento emotivo, il puzzo dei cadaveri sembra realmente trasudare da ogni nota. Si aggiunga che la produzione è praticamente perfetta per questo genere di lavori: grezza, ruvida, priva di qualunque inutile orpello. La proposta degli Ohtar non è particolarmente originale – vi sono altri gruppi che si sono dedicati al medesimo genere con risultati apprezzabili, come i polacchi Sturmgewehr666 o gli statunitensi Nekroholocaust – né varia, perché alla lunga i pezzi finiscono tutti con l’assomigliarsi tra loro, ma i nostri riescono ad imprimere alla loro musica quel quid necessario per renderla personale e interessante. Un ottimo esempio di quello che una volta si chiamava black and blasphemic death metal.
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