Nell’essenziale discografia dei norvegesi Einherjer questo mini cd, insieme al debutto “Aurora Borealis”, costituisce a mio giudizio la più compiuta espressione di quell’epicità così pregna di pathos e fatalismo che rappresenta la cifra comune di tutte le opere della band. Gli Einherjer si sono sempre tenuti distanti dai clamori delle cronache e, in un ambiente dominato dal black più tradizionalista, hanno portato avanti con grande coerenza e convinzione un discorso epic pagan che riprendeva la lezione dei maestri Bathory e che é stato a sua volta approfondito e sviluppato negli anni successivi da gruppi quali Manegarm o Thyrfing. L’opener é una vera e propria summa della musicalità maestosa ed antica del combo capitanato da Gerhard Storesund: i riffs sono di ampio respiro, a volte appena increspati, altre furiosi come il mare del Nord agitato dalla tempesta, i cori sono possenti e densi di una spiritualità arcaica, le cui radici affondano nella notte dei tempi, la voce pulita regge l’intera struttura della song cantando tragicamente le sorti del popolo vichingo, condannato alla sconfitta, ma fiero ed indomito nel proprio rassegnato eroismo. I due pezzi seguenti, pur non essendo all’altezza della straordinaria title track, si mantengono comunque su livelli assai elevati, rendendo questo lavoro un vero gioiellino imperdibile per gli amanti delle sonorità viking. Non una sbavatura, non un eccesso tastieritstico, tutta la tensione drammatica si sviluppa sul binomio voce-chitarra che costituisce il vero asse portante delle composizioni della band. Lineari e misurati ma al tempo stesso profondi ed ancestrali, gli Einherjer furono gli ideali cantori di un popolo glorioso e defunto, ma il cui orgoglio indomabile rivive ancora nei suoi discendenti fino ai nostri giorni.
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