É veramente un gradito ritorno questo album omonimo dei texani Absu (l’oceano sotterraneo delle antiche leggende sumere), a ben otto anni di distanza dalla loro ultima fatica in studio, “Tara”, pubblicata appunto nel 2001. Della formazione storica del combo statunitense è sopravvissuto soltanto il leader incontrastato Proscriptor McGovern, mente e motore di un progetto che, coniugando black-thrash primordiale e mitologia sumera e celtica, ha saputo plasmare nel corso degli anni la propria originale forma di estremismo sonoro. Shaftiel ed Equitant, che avevano fornito il loro contributo alla composizione di ottimi dischi quali “The Sun Of Tipharet” e “The Third Storm Of Cythraul” sono stati sostituiti da Aethyris McKay e Zawicizuz alle chitarre e da Ezezu al basso, senza che lo stile della band ne abbia risentito più di tanto. Il “mithological occult metal” dei nostri (definizione coniata dal gruppo per descrivere la propria musica) resta imperniato su una struttura fondamentalmente thrash, che deve molto alla lezione impartita dai Morbid Scream e dai primi Slayer (basterebbe ascoltare i diversi assoli che costellano i brani per rendersene conto), con un riffing velocissimo che si apre spesso a contaminazioni black old school. Non manca neppure qualche accento epico, come nell’opener “Between The Absu Of Eridu & Erech”, ma questo genere di influenze già si sentiva nei vecchi lavori della band (basti pensare a “Stone Of Destiny”, brano conclusivo di “Tara”). Benché i pezzi siano tutti ben costruiti ed imperniati sui numerosi cambi di tempo magistralmente dettati da Proscriptor dietro le pelli, resta comunque la violenza la cifra espressiva preferita dai nostri: pezzi come “Night Fire Canonization” e “Girra’s Temple” (che vedono la partecipazione di Blasphemer alla chitarra solista), sono delle vere mazzate di puro thrash-black ottantiano, perfettamente assimilabili a pezzi del passato come “Highland Tyrant Attack”, “Swords And Leather” e “Pillars Of Mercy”, in pieno stile Absu. Come di consueto il cantato di Proscriptor risulta nervoso e tagliente, costantemente impostato com’è su tonalità altissime, quasi stridule (personalmente apprezzo molto il suo stile, ma a qualcuno potrà sembrare forse poco “ortodosso”). Scarsissime concessioni alla melodia e nessun ammorbidimento nei suoni o ingentilimento nella produzione: gli Absu riprendono il discorso interrotto qualche tempo fa e lo fanno con un disco di grande qualità che perpetua il loro trademark inconfondibile.
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