I Voland sono un duo lombardo del quale fanno parte Haiwas e Rimmon, il primo polistrumentista e il secondo alla voce, già membri dei più conosciuti Veratrum; il nome del progetto ha una nobile estrazione letteraria: Voland è infatti il modo in cui viene chiamato Satana nel monumentale “Il maestro e Margherita”, capolavoro di Michail Bulgakov. E non è ovviamente un caso dal momento che il concept di questa interessante realtà musicale nostrana è interamente dedicato alla storia della Russia, paese sconfinato ed affascinante, le cui vicende, spesso sanguinose e violente, hanno inevitabilmente influenzato gli equilibri internazionali. Così nell’omonimo debutto della band, risalente all’ormai lontano 2007, l’attenzione era incentrata su alcuni episodi cruciali della storia russa, come l’assedio di Leningrado durante la seconda guerra mondiale e la campagna di Napoleone; in questa seconda fatica, pubblicata in edizione limitata ed in formato cd e tape grazie ad una collaborazione tra Masked Dead Records e Xenoglossy Productions, invece il focus è spostato sulla rivoluzione d’ottobre, in occasione del centenario di questo importante avvenimento che ebbe ripercussioni determinanti sulla storia mondiale: “i dieci giorni che sconvolsero il mondo”, per usare la celebre definizione del giornalista e saggista John Reed. Musicalmente ci troviamo a viaggiare nei territori di un extreme metal dai risvolti sinfonici ed epici, caratterizzato da una produzione piuttosto potente ed heavy (anche se, sotto questo aspetto, si sarebbe forse potuto fare qualcosa di meglio). I nostri comunque hanno limato qualche difetto che inficiava la loro prima prova ed ora ciò che colpisce immediatamente è la capacità messa in mostra dal duo italiano di alternare, con naturalezza e senza alcuna forzatura, sfuriate aggressive e passaggi intrisi ora di eroica magniloquenza, ora di tragica disperazione, trascinando l’ascoltatore all’interno del contesto storico rievocato, del quale viene ricostruita l’atmosfera attraverso un concept molto accurato non solo dal punto di vista musicale, come dimostrano ad esempio l’artwork (a cura di Sabnock Design), ispirato alla corrente costruttivista, che si sviluppò proprio negli anni della rivoluzione e ne costituì una formidabile cassa di risonanza artistica; o gli estratti contenuti nell’opener “1917” di alcuni versi di Vladimir Majakovskij, principale cantore della rivoluzione e tra i maggiori poeti del secolo scorso; o ancora il cantato, in parte in italiano e in parte in russo.
E sono probabilmente i cori russi (proprio quelli che non sopportava Battiato) che costellano il lavoro a costituire l’elemento più sorprendente ma anche di maggior coinvolgimento emotivo di tutta la release, con il loro andamento stentoreo e la loro carica drammatica. Sarà forse anche per la lingua che alle nostre orecchie occidentali sembra così dura e misteriosa ma allo stesso tempo dotata di un’indubbia ed arcana musicalità: è il medesimo effetto creato dall’inizio di “Dubina”, nel quale viene proposto uno stralcio della celebre canzone popolare che ispira il pezzo (“Dubinushka” appunto, canto di protesta della rivoluzione), interpretata dal baritono Fyodor Shalyapin. Anche con tutti questi elementi estranei e in senso lato folk, “Voland 2” resta pur sempre un disco profondamente metallico nelle trame, nelle strutture e nella resa sonora, grazie soprattutto ad un ottimo guitarwork, graffiante e pesante al punto giusto. Se si volesse fare un paragone con un gruppo più noto (e si sa che noi scribacchini non possiamo resistere a questa tentazione), si potrebbero chiamare in causa i nostrani Stormlord e dischi come “Supreme Art Of War” e “At The Gates Of Utopia”: il sound è simile, un misto di metal estremo ed elementi classici, con gustose melodie ed un accentuato piglio epico, abbondante uso di tastiere ed ampi stralci in clean vocals, anche se l’approccio dei Voland non ha ovviamente nulla a che fare con le tematiche di stampo fantasy e mitologico trattate dal gruppo capitolino. Accostamenti a parte, siamo di fronte ad un lavoro ben concepito e ben suonato, con un buon equilibrio ed una fluida commistione tra l’elemento metal e quello sinfonico/epico/folk, e curatissimo nei dettagli, il che fa certamente la differenza nel mare magnum delle uscite, quasi tutte invariabilmente identiche e mediocri, dalle quali è affollata l’odierna scena underground: un applauso sincero quindi ai Voland, nella speranza che intendano sempre privilegiare la qualità delle uscite, anche se destinate ad un pubblico di nicchia, piuttosto che la quantità.