Quello dei norvegesi Orcustus è un moniker che gira da qualche tempo nella scena black metal underground europea, più per la fama dei componenti del gruppo che per il materiale pubblicato dalla band che, fino ad oggi, si limitava a due ep ed una demo, per un totale di cinque pezzi, decisamente non molto per un gruppo attivo dal 2002. Questo debutto omonimo sulla lunga distanza, che esce sotto l’egida della Southern Lord Recordings, contiene invece ben sette brani inediti di puro ed incontaminato raw black metal nella più classica ed ortodossa tradizione norvegese. Si diceva dei nomi importanti che compongono la band: oltre ai membri ufficiali, Taipan e Dirge Rep. (il primo in pianta stabile negli Amok e session nei Taake, il secondo, tra gli altri, negli Enslaved, Gehenna e Craft) in questo disco abbiamo la partecipazione di Infernus (che si occupa del basso in quasi tutti i brani) e Tormentor dei Gorgoroth, nonché di Vrangsinn dei Carpathian Forest. Sono sempre stato piuttosto scettico di fronte a progetti “all stars” di questo tipo, ma nel caso degli Orcustus bisogna ammettere che la musica è davvero di buona qualità e dannatamente old school tanto nelle strutture delle songs quanto nella produzione. Il riff iniziale zanzaroso e tagliente dell’opener “Coil” è emblematico delle intenzioni della band e catapulta immediatamente l’ascoltatore in un’atmosfera morbosa e gelida, autenticamente “black”. Le coordinate stilistiche si mantengono pressoché inalterate per tutta la durata del disco che, se certamente non spicca per originalità, neppure denota alcuna evidente caduta di tono, grazie anche all’esperienza ed all’indubbio mestiere dei nostri. Si susseguono quindi la claustrofobica “Of Sophistry, Obsession And Paranoia”, che forse deve qualcosa agli ultimi Mayhem, la sferzante “Jesus Christ Patricide”, che palesa influenze thrash/black alla maniera di gruppi come Urgehal e Azaghal, e la plumbea “Ego Sum Chaos”, sulla quale sembra aleggiare lo spettro dei vecchi Celtic Frost. Sempre sugli scudi il singer Taipan con il suo cantato raschiato e diabolico, in alcuni frangenti vicino al timbro maligno di Hoest. “Orcustus” è un lavoro compatto, completo e tecnicamente ineccepibile, nonostante il genere primitivo e brutale proposto. Da ascoltare ma, in questo caso, senza rimpiangere più di tanto i “bei tempi andati”.
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