“Pain Slavery And Desertion” rappresenta la prima ed unica testimonianza sulla lunga distanza per i Nuclear Winter, quartetto proveniente dall’Australia che gode di un qualche alone di culto negli ambienti underground e che pare aver cessato la propria attività dopo l’improvvisa morte del cantante Aghag, avvenuta nel 2006. La band radica il proprio sound nella tradizione e si dimostra fedele ai canoni stilistici del più puro, marcio, incontaminato ed ortodosso black metal di matrice nordica e di ispirazione fieramente darkthroniana. Il disco è un monolite di coerenza, senza alcuna concessione a fughe melodiche, ad elementi estranei o a variazioni di sorta: quindici canzoni che si susseguono come altrettante coltellate, fredde, monotone, compatte, tutte costruite sull’alternanza ossessiva di un paio di trame chitarristiche tremolanti, ruvide e gracchianti, sovrastate da vocals rauche, taglienti e demoniache. Non si esce neppure per un attimo dai consueti schemi ma la prevedibilità e la ripetitività divengono paradossalmente il punto di forza di un album efficacissimo nel dipingere scenari notturni e nel dare corpo ad incubi inquietanti mediante poche e semplici note. La velocità d’esecuzione è un tratto distintivo della proposta dei Nuclear Winter così come i suoni rozzi e scarni, praticamente in presa diretta (tutte le canzoni provengono infatti da vecchi demo e non hanno subito alcuna pulizia). Assimilabile a gruppi come Impious Havoc, Beastcraft, Witchcraft, Vlad Tepes, Belketre e decine di altri, il combo australiano procede come un lupo nella tormenta dando libero sfogo alla propria furia iconoclasta ed al proprio disprezzo blasfemo, senza curarsi troppo di risultare originale o quanto meno riconoscibile. Ai nostri va comunque riconosciuto il merito di essere stati tra i primi (insieme agli Abyssic Hate ed a pochi altri) ad esportare questo genere di sonorità nella terra dei canguri. A conti fatti i Nuclear Winter suonano ancora più “true” dei modelli ai quali tributano orgogliosamente omaggio e ci offrono tre quarti d’ora di genuino e fottutissimo cold black metal quadrato e senza fronzoli, nero come la pece, glaciale e macabro: prendere o lasciare. Personalmente prendo, senza riserve. “Seasons Of Winter Infected The Living, Deserts Of Torture Lie Silent As The Moon Sinks Into The Sea”.
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