Peste Noire – Peste Noire

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Quinta fatica sulla lunga distanza per i francesi Peste Noire, questo album autointitolato esce come di consueto per l’etichetta La Mesnie Herlequin, di proprietà del cantante e chitarrista La Sale Femine De Valfunde, e conferma lo spirito completamente anarchico ed anticonformista del progetto, da sempre estraneo ai luoghi comuni autoimposti del black metal, sia a livello musicale che di immagine. La musica della band è certamente definibile in senso lato come black metal, nella sua attitudine più lercia e primitiva (“La Blonde” è un pugno nello stomaco di sopraffina arroganza a tinte thrash), ma contiene tale e tanta fantasia compositiva, tale e tanta libertà esecutiva da trascendere del tutto i limiti del genere. Il riffing, ormai riconoscibile ma non per questo meno originale, è scarno, spezzettato e ageometrico; le canzoni sono costruite su strutture sghembe e bizzarre, alle quali fa da perfetto contraltare un cantato sgraziato, urlato e lacerante, lontano anni luce dalle classiche screaming vocals. C’è anche spazio per melodie avvolgenti e ci si può abbandonare a momenti di sognante romanticismo durante la cantilena acustica “Ode”. Tutto è ammantato da un velo di tangibile follia cacofonica e da un inconfondibile piglio medieval-folkeggiante che da sempre è il marchio di fabbrica dell’ensemble transalpino. Nell’apparente caos il lavoro dimostra un’invidiabile coerenza di fondo nella quale trovano spazio senza contraddizione e senza soluzione di continuità l’hammond e l’hurdy-gurdy di “Démonarque”, la tromba ossessiva ed a suo modo epica di “La Bêche Et L’Épée Contre L’Usurier”, la voce suadente e patriottica di Audrey Sylvain (già nei conterranei Amesoeurs), protagonista di molti passaggi dell’album. Ciò che rimane all’ascolto, sospeso nell’atteggiamento iconoclasta, politicamente scorretto e menefreghista della band – rispetto a tutto: mode, music business, regole e logiche interne al sistema “metallo estremo” – è un senso di malinconia e vuoto incolmabile, reso plasticamente dalla conclusiva “Moins Trente Degrés Celsius”, che parte come una violentissima sfuriata al fulmicotone e diviene una triste cavalcata funebre. I Peste Noire ribadiscono il loro status di gruppo underground di culto, dotato di grande autonomia rispetto ai propri modelli di riferimento (che comunque ci sono: dal black norvegese vecchia scuola alla musica popolare e tradizionale francese) e capace di piegare alle proprie esigenze gli strumenti espressivi più semplici per cavarne emozioni inedite.