Che disco! Il tanto auspicato ritorno della band di Infernus, dopo le molte controversie legali, finalmente è avvenuto. Lo stile di questo ritorno è davvero quello degno di una band che porta questo nome, e che forse rimane una delle poche realtà in grado oggi di proporre una formula tanto semplice e poco evoluta del genere, che si lascia apprezzare per la sua più primordiale essenza. La dipartita di King Ov Hell, che per chi non lo sapesse era il principale compositore degli ultimi album della band, ovviamente farà sentire enormemente il suo peso, nel bene e nel male. “Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt” è completamente diverso dal suo predecessore, quel “Ad Majorem Sathanas Gloriam” che rappresenta la prova meglio riuscita dell’era Gaahl-King. Se prima la velocità era un imperativo, adesso questa viene surclassata dai mid-tempos, e in genere da sviluppi cadenzati, che fanno tornare alla mente dischi come “Antichrist”. La somiglianza con questo masterpiece firmato Gorgoroth è effettivamente molta, e ciò non è per niente un male… Ma andiamo a vedere chi sono i Gorgoroth oggi: oltre a Infernus, abbiamo in formazione il ritorno di Tormentor alla seconda chitarra (lui in questo disco non partecipa), che aveva lasciato la formazione dopo l’ingresso dell’ex bassista King. Poi abbiamo lo storico singer Pest, che finalmente torna a gracchiare dietro al microfono, mostrandosi in grande spolvero. Il bassista è niente meno che Frank Watkins, proveniente dai deathster statunitensi Obituary (storici!). Termina la formazione l’ex Dissection e Dark Funeral Tomas Asklund, di cui possiamo ascoltare una prova dietro le pelli altamente limitata alle necessità dei Gorgoroth. Una super formazione, dunque, che però mantiene intatto lo spirito originario della band, per il semplice fatto che tutto quello che ascoltiamo in “Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt” è opera del solo Infernus che, negli ultimi due anni, ha composto l’intero lavoro… tra prigione e libertà. Non nego di aver provato un pizzico di nostalgia ad ascoltare un disco simile e per chi, come me, è cresciuto coi capolavori della prima metà degli anni novanta penso che questa sarà una sensazione condivisibile. Comunque, l’ottima produzione degli Asklund Monolith Studios di Stoccolma (che a quanto pare sono del batterista), riesce a dare un suono molto convincente soprattutto a voce e chitarra, eliminando qualsiasi approssimazione nella resa sonora. Resta forse un po’ in secondo piano il basso e ho come l’impressione che ci sia troppo trigger nella batteria (soprattutto nella cassa), decisamente. Dopo le lunghe ma doverose precisazioni e presentazioni, direi di iniziare a parlare del disco vero e proprio. “Aneuthanasia” parte subito senza fronzoli, mostrando la nuova faccia dei Gorgoroth, con un attacco all’unisono degli strumenti che mostrano le novità di quest’ultima release: suono nitido ma old-school, velocità ridotta, molta cura nei riff, numerosi cambi di tempo (vero punto di forza dei vecchi Gorgoroth secondo me), e voce in primo piano. Dunque un inizio fulmineo ma subito convincente, soprattutto per la dinamicità del pezzo, che cambia continuamente registro stilistico, nonostante mantenga praticamente inalterato il proprio main-riff. La seconda traccia è sulla falsa riga dell’opener e ci conduce alla lenta e cantilenante “Rebirth”, dove il gruppo sembra proprio voler celebrare la propria rinascita dalle ceneri del passato. Arriva così “Building a Man”, molto più articolata e spedita, che conferma quanto siano geniali i Gorgoroth… pochi orpelli, pochi riff ma buoni, come insegna la migliore scuola darkthroniana, e un pezzo che si gonfia di spirito black in ogni suona nota: è interessante per l’appunto notare questo particolare, ovvero l’assoluta e devastante cura di ogni singolo riff, che non viene mai meno per tutta la durata del lavoro. Il disco è ispirato e si sente. Segue un brano (“New Breed” che è forse il meno riuscito del lotto ma funge da buon ponte tra la prima parte del cd ed il micidiale trio conclusivo. “Cleansing Fire” e “Human Sacrifice” sono classiche schegge di black metal norvegese, veri e propri manifesti di odio e misantropia in musica, come tradizione insegna. “Satan-Prometheus” infine è la degna conclusione del full, con un andamento finalmente frontale e d’impatto ed un riffing di altissima qualità, arpeggiato a volte, che viene suggellato dalle clean vocals del chorus, per dare un ultimo tocco di cristallina e misantropica crudeltà ad una canzone davvero d’altri tempi. Chiude il disco “Introibo Ad Alatere Satanas”, pezzo che funge da breve outro strumentale. Cos’altro dire? I Gorgoroth, quelli veri probabilmente, sono tornati, più forti che mai. Attualmente sono la realtà più interessante in ambito black metal, almeno tra quelle storiche, perché riescono a fondere lo spirito immutato del genere con alcune piccole accortezze maturate con l’esperienza, che elevano nell’Olimpo del black metal questi Gorgoroth dalla formazione validissima che però si riconduce (almeno per ora) al binomio Infernus-Pest, come ai vecchi tempi, mi viene da dire… e che tempi! Imperdibili. Hail Satan!
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