Nonostante possano vantare una carriera lunga e ricca di lavori interessanti, fra cui vale almeno la pena citare il buon “Vargstrike” (2001) e lo split con i germanici Absurd (2002), i Pantheon rimangono tutt’oggi una formazione nota esclusivamente all’interno della scena NSBM. Il mastodontico “Aryan Rebirth” è il quinto studio album del duo proveniente da Tucson, città dell’Arizona meridionale, ed appare fin da subito come un’opera fuori dal comune. I due dischi, contenuti dentro un elegante digipack, si dividono ulteriormente in cinque parti, non tanto per le sonorità proposte, bensì per quanto riguarda i testi dei vari brani. L’opener, “Storms Of Steel”, rappresenta il quarto capitolo della saga “The Atavism Into Ginnungagap”, il cui primo episodio risale addirittura al 1997. Il black metal di Vortigern e Vautrin, entrambi polistrumentisti di discreto livello, è a tratti di stampo classico, con continui richiami allo stile Darkthrone, a tratti più atmosferico, grazie specialmente all’uso di tastiere. Il secondo disco, alquanto sperimentale ed aperto a nuove influenze, risulta nettamente più convincente rispetto al primo, di cui si impongono soltanto pochi pezzi, “The Outcast” e “Müspelsturmsreich” in primis. Degna di nota è anche “Vanangriff”, con il suo incedere epico e l’utilizzo della voce pulita, la quale conferisce al brano un’aria solenne e maestosa. Molto suggestiva, quasi commovente, l’introduzione di “Iotunkrieg”, canzone che, altresì, offre però pochi spunti interessanti. “The Solemn Godi”, alla pari, perlomeno inizialmente, della successiva “As The Ice Hammer Falls”, riesce ad incantare per le sue sonorità delicate, emotive, e un cantato soltanto sospirato. Fantastica, ma purtroppo altrettanto breve, la ballata acustica “The Crossing Of Bifrost By Hjaltedod”, capace di trasportare l’ascoltatore in terre lontane, dimenticate dal mondo. Assai simile a quest’ultima è “The Bow Taker”, mentre la conclusiva “Visionary Flight Of Hugin And Munin” si rivela un pezzo di stampo chiaramente ambient. Come sorpresa finale vi è pure posto per una traccia fantasma, caratterizzata dalla presenza di cornamuse nella parte introduttiva. “Aryan Rebirth” è sicuramente un lavoro prolisso, esagerato; sarà dura riuscire ad ascoltarlo per intero tutto d’un colpo. Ciò nonostante, alcuni brani riescono a colpire nel segno, facendo sì che questo doppio disco possa comunque raggiungere la sufficienza. Troppo poco, però, per permettere ai Pantheon di emergere dal sottobosco NSBM, attualmente più folto che mai.
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