“For We… Who Are Consumed By The Darkness…” é il full length d’esordio degli americani Sarcophagus, band ora non più in attività, capitanata da Andrew Jay Harris alias Akenathen, mente e motore di Judas Iscariot. A giudizio di chi scrive si tratta del miglior lavoro di un gruppo che, insieme a pochi altri (per esempio gli Absu), ha posto le basi della scena underground statunitense in un periodo, la prima metà degli anni novanta e oltre, nel quale veniva da molti sistematicamente ma ingiustamente bistrattata ed ostracizzata, a favore di tutto ciò che proveniva dai paesi scandinavi, e che soltanto negli ultimi anni ha ricevuto i dovuti riconoscimenti. Grinding Apocalyptic Black Art: con questa formula i nostri definivano la loro proposta musicale. Infatti il songwriting é sì debitore del classico black metal nordico in voga in quel periodo, ma si lascia influenzare anche dal grind più viscerale, secco e nervoso, in un ibrido malsano che a tratti può ricordare gli Impaled Nazarene dei primi due albums oppure i primi Sadistik Execution. In almeno un paio di occasioni (“Fuck Pig” e “Wrath”), i Sarcophagus si lasciano andare a sfuriate al fulmicotone della durata di pochi secondi degne dei migliori Agathocles o dei Carcass degli esordi, vere schegge impazzite colme di rabbia iconoclasta. Siamo comunque di fronte ad un lavoro che, nonostante subisca il fascino di altri stili, resta radicalmente black metal tanto nel concept quanto nella struttura delle canzoni. Basti ascoltare la glaciale “One Black Autumn”, il cui testo é basato su “Jerusalem” di William Blake, canzone colma di sinistre melodie, che riesce ad essere feroce ed evocativa nello stesso tempo, chiamando in causa gruppi come Sorhin e primi Demonic. Molti sono poi gli spunti letterari presenti nelle liriche: oltre alla già citata “One Black Autumn”, vi sono la terremotante “Damned Below Judas”, forse l’episodio più violento e bestiale del lotto, basata su “Lines Written During A Period Of Insanity” di William Cowper, poeta inglese del XVIII secolo, e “Si Piangiamo Or Dunque Uniti”, dal testo completamente in italiano, tratto da “L’Olmo” di Attilio Ariosti, musicista vissuto a cavallo tra ‘600 e ‘700 e noto soprattutto per le sue composizioni per viola d’amore. Fa sempre uno strano effetto sentire la nostra bella lingua in qualche modo storpiata dalla pronuncia anglosassone, ma il risultato finale non é per niente disprezzabile: quel che ne esce é una sorta di nenia demoniaca e difficilmente comprensibile, ben accompagnata da una base black metal sferzante che ricorda i primi Gorgoroth (un esperimento simile, con esiti a mio avviso di gran lunga inferiori, l’avevano tentato anche i norvegesi Ancient declamando i primi versi del terzo canto dell’Inferno di Dante). Per completare l’elenco dei riferimenti “colti” presenti in questo lavoro, segnalo che l’artwork di copertina raffigura un particolare del “Christ In Agony” di James Ensor, pittore belga del XIX secolo, che rappresenta alla perfezione l’atmosfera macabra e blasfema che si respira durante l’ascolto. In conclusione quest’opera prima dei Sarcophagus é una piccola gemma che merita senza dubbio di essere riscoperta, potente e oscura, carica di pathos, venata a tratti di una sottile e insinuante malinconia, a mio parere degna di essere considerata un classico sotto ogni profilo.
Sign in
Welcome! Log into your account
Forgot your password? Get help
Password recovery
Recover your password
A password will be e-mailed to you.