“Cut Yourself / Open Your Skin / Choose Your Destiny / And Choose To Die / Anti Human / Anti Life”: questi i versi iniziali dell’opener di “Anti Human Life”, primo full length ufficiale, dopo la consueta trafila di split e demo, degli italiani Darkness, band formata da membri dei più noti The True Endless, che suona come un blasfemo e grezzissimo inno al più tradizionale ed ortodosso old style black metal. Questo disco contiene pezzi più recenti (da 1 a 5), registrati tra il 2007 ed il 2011, ed altri (da 6 a 11) risalenti invece al 2001 e già pubblicati in formato tape ma non più reperibili. La musica, l’iconografia e l’attitudine dei nostri, così come le liriche ignorantissime e contro ogni forma di religione monoteista, riportano direttamente a quegli anni a cavallo tra ottanta e novanta, quando black, death e thrash metal erano per certi versi ancora fusi insieme in un coacervo cacofonico e non presentavano quelle caratteristiche peculiari che li differenzieranno in maniera così netta in futuro. “Anti Human Life” è un lavoro che omaggia in tutto e per tutto questo modo di intendere il metal estremo, guardando decisamente al passato e traendo ispirazione in egual misura dai Mayhem di “Deathcrush”, dai Celtic Frost di “Morbid Tales”, dagli Hellhammer di “Apocalyptic Raids” e dai Bathory di “Under The Sign Of The Black Mark”. Le canzoni iniziali sono una mazzata sui denti, senza compromessi e senza variazioni di nessun tipo: solo esplicita violenza, arroganza e devozione alla vecchia scuola che prendono forma attraverso un riffing compatto e monolitico, un drumming al fulmicotone ed un cantato che è un rantolo demoniaco e cavernoso. Colpiscono per ferocia l’anticlericale “Covent Hypocrisy” e la scheggia impazzita “To My Beloved”, canzone breve e folle che non avrebbe sfigurato nei primi dischi di Impaled Nazarene o Sadistik Execution. Nella seconda parte i pezzi si aprono ad influenze spiccatamente thrash oriented, che chiamano in causa primi Sodom, Venom e Kreator: il riffing è leggermente più vario e dinamico ma non perde un’oncia della propria carica distruttiva e della propria furia iconoclasta. Da segnalare “Monotheistic Destruction”, che si apre con alcune inattese note di violino riprese subito dopo dalla chitarra, e la groovy “Let The Napalm Rain”, che presenta echi black n’ roll alla Carpathian Forest. I Darkness suonano con convinzione esattamente quello che vogliono suonare, senza pretese di originalità e senza fronzoli di sorta: se amate quello che, per usare il titolo di una vecchia canzone dei Nargaroth, si potrebbe definire “Black And Blasphemic Death Metal”, allora procuratevi senza esitazioni questo disco: keep the underground flag high!
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