I Goats Of Doom sono finlandesi e, a dispetto del loro nome che potrebbe far pensare appunto ad un gruppo doom, propongono un black metal melodico che risulta un’ottima reinterpretazione personale dei trademark tipici del sound della loro terra d’origine. I nostri sono partiti come un duo formato da Inasnum e Scaregod e con questa formazione hanno pubblicato ben tre full lengths, oltre ad un ep, nel breve volgere di cinque anni: lavori legati a sonorità più tradizionalmente synth-oriented, anche se non definibili come sinfonici in senso stretto. Ora, divenuta un trio, la band dà alle stampe questa quarta fatica sulla lunga distanza, mostrando con “Rukous” un’altra faccia della propria creatività musicale, bandendo l’uso delle tastiere e concentrandosi su un riffing sì aggressivo e furente ma focalizzato specialmente sulla costruzione di atmosfere mistiche ed evocative, attraverso tessiture melodiche sinistre ed insinuanti davvero ben confezionate e rese tramite una registrazione che proprio sulla melodia pone la maggiore enfasi. “Rukous” è un album intriso di mistero e malinconia, che ci consegna una band al tempo stesso selvaggia e matura: infatti da un lato i nostri si lasciano andare a sfuriate gelide e sferzanti, recuperando in molti passaggi quei sussulti di primitività autentica ed incontaminata che hanno reso celebri vari dischi della tradizione finnica (penso soprattutto all’insuperato ed insuperabile esordio dei Behexen, quel “Rituale Satanum” che ancora oggi resta uno dei migliori esempi di odio e misantropia in musica), e dall’altra tessono potenti orditure melodiche, strizzando l’occhio non soltanto ai conterranei Horna e Satanic Warmaster ma anche, più in generale, alla scuola classica dell’heavy metal ottantiano, dando dimostrazione di grande consapevolezza delle proprie capacità compositive; il che rende la loro proposta fresca e dinamica, senza farle perdere un’oncia del proprio impatto malevolo e iconoclasta.
Discorso a parte merita l’approccio vocale: le urla di Scaregod sono davvero disumane e demoniache, impostate su tonalità decisamente alte e stridule, potrebbero in qualche modo riportare alla mente le prime prove di Hat con i Gorgoroth; ma accanto al più canonico scream, con cui il singer vomita sermoni malefici quasi esclusivamente in lingua madre, troviamo molti inserti in semi clean vocals, impostati e teatrali, che in alcuni casi si sovrappongono alla linea vocale principale dando luogo ad interessanti polifonie, che conferiscono a questi passaggi un’aura rituale ed un piglio pagano in senso lato. C’è quindi un certo lavoro dietro ai pezzi, una certa levigatura ed una generale attenzione per i dettagli, per quanto le canzoni sembrino sgorgare naturalmente grezze dalla fonte della più pura blasfemia, tra sangue, caproni, teschi e corone di spine, e siano comunque destinate a placare gli appettiti morbosi dei maniaci delle sonorità più old school oriented. I Goats Of Doom in definitiva sembrano riuscire là dove molti nomi più blasonati hanno recentemente fallito, ovvero nell’intento di realizzare un’opera che rientri perfettamente nei canoni dell’ortodossia black ormai da tempo codificati, senza per questo risultare un plagio o una noiosa e stantìa fotocopia. A mio giudizio questo disco è una delle più belle sorprese offerte dalla scena underground quest’anno.