Si scrive VCid ma si legge Void, a quanto ci risulta. Poco importa perché, leggendo che la loro provenienza è Nantes (Francia), già mi stanno simpatici in quanto da sei anni vado a fare visita alla loro cittadina in giugno, in concomitanza del noto Hellfest. Saranno i locali e le birrerie del centro che ispirano questi ragazzi, oppure le robuste mura del bel castello dei Duchi di Bretagna o, perché no, i viaggi del mitico e visionario Jules Verne, che proprio a Nantes vide i propri natali, fatto sta che questo “Jettatura” è un insieme di sensazioni e groove malsani che mi ha lasciato davvero piacevolmente stupito. Cosa suonano i VCid? Difficile dirlo in quanto nelle sei canzoni che compongono questo full lenght di debutto coesistono una serie di ispirazioni che partono dall’hard rock mefistofelico più scanzonato di matrice europea per arrivare a melodie che sembrano uscite da qualche black metal band stagionata. Il risultato a tratti può essere definito addirittura eccezionale in quanto a freschezza di ispirazione; il sound non è mai troppo derivativo e riesce a crearsi una personalità del tutto unica e pionieristica, in un contesto plumbeo e sulfureo. Trentacinque minuti di festa inquietante e noi abbiamo un biglietto omaggio per assaporarla in anteprima.
A darci il benvenuto a questo party malsano è il cantante C ricordandoci che la festa si chiama “Jettatura”, gli ambienti sono scuri, e flash rossi e giallo ocra ci abbagliano di tanto in tanto, la gente balla e si dimena con i drink che schizzano il loro veleno a destra e a sinistra, il fumo artificiale ci crea difficoltà di orientamento: i riff scanzonati della title track creano un ambiente positivo da party vero; mi diverto! La musica dei VCid ovviamente è parte portante di questo party satanico; arrivati sotto lo stage le luci cambiano e pure il clima: “Theory Of Hail” è glaciale, con un retrogusto di Immortal, tant’è che l’headbanging non risparmia nessuno e prosegue con l’indiavolata “Woven Woods”. A questo punto le sonorità melanconiche, inframezzate da riff di portata epica, portano la festa a un livello superiore e ad un cambio radicale rispetto a quando ero entrato: “io sono il Dominio, io sono il tuo nemico, sono un tradimento”; queste parole rimbombano nell’aria sempre più rarefatta. Rimango quasi ammutolito, le persone sono dei veri e propri vampiri posseduti, i calici colmi di sangue, ma tutto ciò non mi impedisce di addentrarmi; demoni mi servono un cocktail amaro che sa di sangue animale ma lo bevo come fosse acqua di fonte, totalmente coinvolto da quella che prima era una musica da festa e che lentamente è diventata sempre più oscura e vendicativa. A terra ci sono polvere e ossa, nelle sale c’è infelicità e davanti al palco vermi si inginocchiano al cospetto della band come fosse un rito. Ciò che prima era un party alcolico sta diventando una vera e propria messa oscura dove creature dagli occhi completamente neri ballano senza apparente senso. “OMEN” è il pezzo più oscuro del lotto, le parole sono acide come la musica che ti porta in lande immense e desolate, dove solo la tua fiammella di fede riesce a riscaldarti; ma non basta, la follia mi sta prendendo e lentamente mi sento trasformare in una creatura come quelle che ho di fianco, che continuano a toccarmi come a invitarmi ad essere uno di loro, dicendomi di rimanere perché solo con loro troverò la vera luce dentro l’oscurità. La band dice che suonerà l’ ultimo brano, è il momento giusto per scappare, per salvarmi; ho immaginato il vuoto come una supernova radiosa ma qui ormai la luce non esiste più, i flash iniziali sono diventati fuoco e ghiaccio che convivono in armonia. Trovo la via d’uscita ma una splendida fanciulla vestita di pelle nera con un calice in mano dice di non andare via. Non mi frega nulla, io tengo alla mia pellaccia, mi lancio a capofitto dalla porta d’emergenza e mi trovo davanti un enorme elefante, un ragno, costruzioni in movimento, meccaniche, possedute (https://www.lesmachines-nantes.fr/), corro, scappo pure da questi marchingegni infernali finché cado nell’acqua, dentro la Loira, rendendomi conto che era tutto un brutto sogno. Mi rialzo completamente bagnato e lentamente me ne torno allucinato nella mia casa a Bouffay. Come è allucinato questo disco dei VCid, un connubio incredibile tra riff danzerecci da festa che si uniscono con altri freddi come il ghiaccio. Un disco senza apparenti difetti che ti trasporta in posti dove la mente difficilmente arriva ma che di certo esistono, malsani, pieni di polvere e insetti.