È incredibile come spesso e volentieri la mente umana vada decisamente oltre fittizi limiti che spesso ci poniamo come linea invalicabile tra conosciuto e ignoto. Gli australiani Arkheth credo vogliano superare questo muro virtuale per concedersi un viaggio nei meandri più allucinati della mente e trasformarlo in musica ed emozioni. Perché questo è appunto “12 Winter Moons Comes The Witches Brew”, un viaggio in spirali spazio temporali indefinite, attraverso cosmi inesplorati e ricchi di insidie, per raggiungere la luce e la ratio umana. Mai nulla è stato così impervio e ambizioso. Il duo formato da Tyraenos (tutti gli strumenti e voce) e Glen Wholohan al sassofono (!!!), qui giunto al terzo album, non si risparmia e mette ulteriore carne al fuoco (o acidi, dipende dai punti di vista) rispetto ai precedenti due lavori, generando uno dei dischi più allucinati del genere usciti in questo stralunato 2018. I colori psichedelici della bellissima copertina non fanno altro che avvertire l’ascoltatore su cosa potrebbe andare incontro: tutto o niente, potremmo pensare a un disco stoner, progressive, psichedelico, invece no, oppure si, perché in “12…” c’è un po’ di tutto, in un caos compositivo ben controllato e suonato con eleganza e sapienza. La Transcending Obscurity Records non è di sicuro nuova nella scoperta di talenti eclettici e pure stavolta non sbaglia con i due cangurini del New South Wales. Si parte subito a mille all’ora con “Trismegistus” dove la quadratura black è palese e potente: un blast con basi sinfoniche e la voce acida, condito dagli stilemi più canonici del genere, sino a che già dal secondo minuto la streghetta in copertina inizia a portare a ebollizione il suo malefico infuso e da qui iniziano i viaggi mentali dei nostri, i suoni diventano acidi, al limite del jazz, con l’avantgarde che fa da colonna portante, creando delle disarmonie che spiazzano e rimpiazzano. Lo scorrere dei minuti non fa altro che arricchire la proposta e farci perdere in un mondo fittizio e colorato.
Le sei lunghe composizioni che compongono questo full lenght sono come un pentolone pieno sino all’orlo, colmo di qualsiasi contaminazione estremo-alternativa che può accostarsi con naturalezza o meno, dal sopraccitato black, all’avant-garde, all’acid jazz, con una scorpacciata di funghi velenosi per poter udire ululati di lupi in attesa di qualche vittima da sbranare (“Where Nameless Ghouls Weep”), facendo il verso a un embrionale Marilyn Manson o a un redivivo Rob Zombie più industriale, passando attraverso una colonna sonora quasi da circo con tutta l’inquietudine che ne deriva (“The Fool Who Persists In His Folly”). Il viaggio termina con “A Place Under The Sun”, autentico pezzo da novanta del lotto, dove la band fa vedere di che pasta è fatta anche nei momenti più “canonici”, se così si può dire, in quanto l’imprevedibilità degli Alkheth fa si che ad ogni canzone ci sia sempre una sorpresa. Un plauso alla Transcending Obscurity che, grazie a una produzione superiore sia per suoni che per prodotto finale servito al cliente, riesce sempre a emergere per la qualità generale. “12 Winter Moons Comes The Witches Brew” è un lavoro pazzo, malato, acido e visonario al limite del geniale e, appunto per questo, per pochi eletti che avranno la pazienza di assaporare nota dopo nota, vaneggio dopo vaneggio, il lungo e inesorabile incedere del tempo che questo disco porterà via alle vostre menti. Gli amanti delle sonorità classiche non stringeranno amicizia con la band australiana, a differenza dei più curiosi, ma non potranno esimersi dal fare i complimenti per il coraggio e l’originalità di questa proposta.