Poco più di dieci anni fa non avrei mai pensato che ci sarebbe stato un boom simile delle one man band e ora mi sto ricredendo, anche se questa tipologia di progetti li definisco croce e delizia del black. Se da un lato esistono prodotti davvero sublimi e pionieristici, d’altra parte spesso si rischia di “ammazzare” la scena in quanto, ovviamente, simili realtà difficilmente si possono trasportare in sede live e spesso hanno una scarsa longevità (a parte alcuni fortunati e ben noti nomi). Pertanto mi approcio con leggera diffidenza a questo ennesimo progetto singolo ma con la speranza di poter comunque ascoltare qualcosa di buono. La cover e il logo mi fanno partire male, minimali e inutili, davvero brutti, come un acquazzone in pieno luglio mentre mi sorseggio una birra sotto l’ombrellone, quelle cose che ti fanno davvero incazzare insomma. Ma voglio essere positivo e guardo le foto promozionali di Martjern, leader e mastermind del progetto: alla seconda voglio buttare tutto, tanta è la banalità. Ma sono ostinato, voglio proseguire e continuare a farmi del male, pertanto mi accingo a premere play e far partire questo “All The Lights Faded”, debut album dei cechi Infernal Cult, eliminando i pregiudizi della mera forma estetica.
Sarà “Embrace Of Shadows” a darci il benvenuto e il suo biglietto da visita è un’intro in tremolo che va a sfociare in una classicissima death/black metal song, dove la matrice melodica tessuta dalla chitarra è parte portante. La prima cosa che mi stupisce è la voce di Martjern, un mix di growl, harsh e scream, che spesso e volentieri per quanto riguarda metriche e cadenza mi fa tornare in mente il buon vecchio Glen Benton, che per chi scrive è un notevole complimento per il ragazzo di Praga.
Con il passare dei minuti appare chiaro che gli Infernal Cult hanno le idee ben precise su come vogliono suonare: le coordinate sono quelle che hanno reso famosi gli iconici Mgla, con tempi sostenuti e dosi massicce di melodia strumentale, ma con le dovute proporzioni perché qui il suono è più minimale, quasi rozzo e spesso in alcuni riff porta alla mente infarinature quasi hardcore. Senza perdere di vista l’obiettivo (con la nostra musica del diavolo si deve spaventare, terrorizzare) questo “All The Lights Faded” riesce a convincere, toccando territori oscuri e più intimistici con la cadenzata “Distant From Living”, che insieme a “Post-Living Existence” rappresenta la faccia più oscura e rarefatta dell’ intero lavoro.
L’album si snoda su up tempos che lasciano spazio spesso e volentieri a classici blast, ma ciò che mi è piaciuto maggiormente è la voglia che ti mette di indossare il tuo vecchio chiodo in pelle e scatenare un headbanging forsennato sulla gran parte dei riff, cosa non frequente nei dischi black metal nello stretto senso del termine. Se si cerca l’innovazione qui non è di casa, forse bussando cento metri più avanti la troverete, non qui. In questo disco l’unica cosa che si trova è Martjern che fa il diavolo a quattro (ascoltare “Self Destructive Life Resistance” per capire cosa significano le parole violenza controllata) con il suo cantato, dove straordinariamente si riesce a capire quasi ogni singola parola delle liriche, che non parlano di fatine e non recitano filastrocche, ma sono canti di perdizione al limite dell’ossessivo, dispersi nell’oscurità della mente.
A conclusione del lavoro una vera e propria suite di oltre dodici minuti, epica, sinistra, travolgente, dove il nostro giovane demone riesce a riassumere tutto ciò che è espresso nel disco in un’unica devastante traccia, che mette la parola fine ad un lavoro sul quale non avrei scommesso un centesimo bucato e sul quale invece mi sono dovuto ricredere nota dopo nota, imprecazione dopo imprecazione. Un disco che ogni black metalhead dovrebbe avere, a maggior ragione se amante di sonorità tendenti al melodico con lo specchietto retrovisore rivolto agli ammiccamenti del death più classico. Tutto ciò non fa altro che sottolineare ed avvalorare il famoso detto: “mai giudicare un libro dalla copertina”.