Attivi da una quindicina d’anni e con alle spalle un demo, un full length (“Jubilate Diabolo” del 2013) ed un paio di split, i nostrani Black Faith con questa seconda fatica sulla lunga distanza compiono un enorme balzo in avanti, dando alle stampe un disco maturo e completo, tra i migliori pubblicati negli ultimi tempi in ambito true black metal, sottogenere sommamente sovraffollato, nel quale è veramente complicato emergere. “Nightscapes” invece riesce a svettare, grazie ad un utilizzo sapiente di ingredienti noti ma ben calibrati e tenuti insieme da capacità compositiva e attitudine senza compromessi. L’album è perfettamente bilanciato tra sfuriate velenose ed atmosfere sofferte, riff frenetici e serrati e passaggi più sulfurei e dal sapore rituale: un coinvolgente bignami delle emozioni veicolate dal black metal più puro ed incontaminato negli oltre vent’anni dalla nascita del genere. Si passa dalla brutalità assassina della doppietta iniziale formata da “Obsecratio” e “Culmination Of Injustice”, sulla quale aleggia lo spettro dei Marduk e più in generale di tutta la scuola svedese, alla ferale intransigenza di brani come “In Total Disgust”, “Throwback!” e “These Corridors Spurt Blood”, autentici concentrati d’odio che riecheggiano i vari Urgehal, Tsjuder e Koldbrann. Ma i nostri non sono da meno quando staccano leggermente il piede dall’acceleratore per dare corpo a canzoni più meditate e melodiche, dal feeling forse più malinconico ma altrettanto cariche di negatività e misantropia, come la title track, “Never Eternal” e la conclusiva “Consacrabor”, che chiamano in causa i migliori Horna e Nargaroth. Da segnalare l’ottima prova di tutti i musicisti coinvolti, compresi i numerosi ospiti: da Mancan e Sicarius degli Ecnephias, a Xes degli Infernal Angels, da Lord Of War degli Athanor a Sinister dei Catechon, quasi a testimoniare una qualche unità d’intenti con certa parte della scena italiana. Certamente “Nightscapes” non è un album che fa dell’originalità il proprio punto di forza ma davvero poco importa di fronte a brani autenticamente neri, così ben strutturati e suonati, e a un disco che riesce ad essere variegato pur mantenendo una coesione monolitica di fondo. Un sincero applauso dunque a Snarl e compagni per questa uscita così sorprendente, in grado di rivaleggiare ad armi pari con le più recenti produzioni di tanti colleghi (a torto o a ragione) ben più blasonati: bravi davvero!
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