Forse in pochi si ricorderanno dei Brisen, terzetto proveniente da Roma, che nel 1995 diede alle stampe questo “Shade Of Soul”, oggi da considerare come una significativa testimonianza storica della scena estrema nostrana. Il gruppo, che oggi pare essere tornato in attività dopo ben quindici anni di silenzio, era ai tempi composto da Elymas alle voci, Unborn alle chitarre ed Arymon alla batteria. L’album, pubblicato dalla storica Holocaust Records, allora molto attiva nello scovare e promuovere valide realtà underground sia italiane che straniere, si compone di sette canzoni inedite, un pezzo (la sincopata “Evil Power”), che avrebbe dovuto far parte di un ep mai realizzato, ed i tre brani finali, già compresi nel demo “Holocaust Sky” del 1993 e per l’occasione completamente rimasterizzati. Il black metal dei Brisen è di quello classico di matrice nordica, puro ed incontaminato, che in quegli anni cominciava a diffondersi anche in Italia, sull’onda della sempre maggiore notorietà (anche extramusicale) delle band scandinave. Non c’era internet e le informazioni erano reperibili soltanto sulle poche riviste e fanzines specializzate: tutto era avvolto da un chè di misterioso. Ed è proprio questo il feeling che trasuda da ogni nota di questo lavoro, costruito su strutture elementari ma dannatamente efficaci e cariche di un misticismo arcano. Le linee di chitarra sono molto semplici e scarne, come da tradizione old school; la batteria si attesta su mid tempos cadenzati, che non disdegnano però qualche sporadica sfuriata veloce e furiosa; la voce è un rantolo disperato e disumano, che sembra eccheggiare da distanze e profondità incolmabili; intelligente l’uso delle tastiere, che non risultano mai invadenti e vanno a sottolineare con poche note i passaggi più oscuri e macabri; la produzione è ruvida e senza orpelli, perfettamente in linea con i canoni dell’epoca e tutt’altro che plastificata come accade invece in troppi lavori recenti. La linearità delle soluzioni non impedisce tuttavia al combo italiano di impreziosire la propria proposta con qualche elemento particolare, come il breve intermezzo acustico di “Sea Of Darkness (Brisen Sleep)” o l’invocazione sacrilega di “Nema”, il cui testo non è altro che il “padre nostro” recitato al contrario. La maggior influenza compositiva è rintracciabile in “Hvis Lyset Tar Oss” di Burzum, unita però a diverse suggestioni provenienti dal metal occulto ottatiano di scuola italiana. “Shade Of Soul” è un disco che, con pochi elementi, riesce a creare quell’atmosfera malignamente magica che appartiene solo alle opere di quel periodo, quando il black metal sembrava essere qualcosa in più che un semplice genere musicale. Un disco da riascoltare e riscoprire, non solo da parte dei nostalgici.
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