Giungono alla seconda fatica sulla lunga distanza i francesi Ysengrin, band capitanata dal cantante e polistrumentista Guido Saint Roch, dopo il debutto “T.R.IA.D.E.” del 2008, uno split in compagnia dei conterranei Borgia l’anno seguente, ed un paio di ep pubblicati nel 2010. Il combo transalpino si fa portavoce di una sorta di death/doom (sono rarissime le puntate in territori tipicamente black metal) caratterizzato da tematiche criptiche ed esoteriche e, musicalmente, giocato soprattutto su tempi medi e cadenzati e su un riffing pesante e roccioso. Non mancano tuttavia arrangiamenti anche complessi e, spesso e volentieri, i nostri si lanciano in variazioni sul tema e fughe dal sapore quasi avantgarde. Abbiamo così l’intermezzo acustico rilassato ed evocativo di “Crucifiement”; la comparsa di un pianoforte delicato in “Poëterie Gibeline”, pezzo il cui testo è tratto da un’opera di G. Guinizelli ed è interpretato alla voce da M. degli Opera IX; il lungo ed intricato assolo di “Hors Du Siècle”; l’intro vagamente orientaleggiante di “Non Pourtant Je Vy Choses Horribles Et Merveilleuses Sans Fin”, che vede l’utilizzo di strumenti medievali ben suonati dal chitarrista Kalevi Uibo. Tutti elementi che vanno ad arricchire, e forse ad appesantire anche eccessivamente, una proposta assimilabile sotto certi aspetti ai primi Therion o ai primissimi Tiamat e, per altri versi, ai Celtic Frost di “Into The Pandemonium”. A giudizio di chi scrive questo album presenta fondamentalmente due punti deboli. Innanzi tutto la scarsa compattezza dei brani, tutti molto (troppo) lunghi e sovraccarichi di partiture barocche ed arzigogolate che li rendono piuttosto sfilacciati, spezzando una continuità che avrebbe potuto essere decisamente più monolitica e d’impatto. In secondo luogo la prova vocale del singer, che canta in un growling profondo ma davvero poco espressivo e senza sfumature significative. Il pezzo più riuscito, che è anche il più violento e veloce del lotto, è “Temphomet”, e non a caso: il brano è diretto e ben strutturato nonostante i numerosi cambi di tempo e di atmosfera che si susseguono negli oltre otto minuti di durata. Gli Ysengrin dimostrano di possedere buone capacità tecniche ed esecutive e di avere anche qualche discreta idea, peccato però che il più delle volte finiscano per addentrarsi in un labirinto compositivo che si avvita senza via d’uscita, compiacendosi di soluzioni fini a sè stesse. Una maggiore linearità avrebbe sicuramente giovato alla riuscita di questo disco.
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