“Konkurs” (letteralmente “bancarotta”) rappresenta la terza fatica sulla lunga distanza dei Lifelover, furbo progetto di Kim Carlsson, già noto quale factotum degli Hypothermia, del quale in tutta sincerità non riesco a spiegarmi il grande successo di pubblico e di critica raggiunto in questi ultimi anni. La band svedese ha effettivamente mostrato qualche sprazzo di originalità ma ha soprattutto avuto l’intuizione di cogliere il “trend” giusto al momento giusto. Nulla di male in questo ma non si può interpretare tale capacità come sintomo di una creatività potente e destinata a lasciare il suo segno nel tempo. L’effetto sorpresa ed il dirompente dinamismo del debutto “Pulver”, ancora per certi versi legato al marciume black metal, sono ormai svaniti ed i Lifelover sembrano diventati prigionieri di una formula decadente che essi stessi hanno in parte contribuito a creare, navigando a vista in un limbo indefinito tra reminiscenze depressive e tentazioni post rock. Tutti i pezzi hanno sostanzialmente la medesima struttura, che alla lunga finisce per non entusiasmare: un andamento trascinato e malinconico, al quale si accompagnano vocals urlate, sospirate o recitate ed un finale che vorrebbe essere sorprendente, rappresentato da un qualche campionamento, da uno squarcio ambient o da un’allegra marcetta. I Lifelover rielaborano suggestioni provenienti tanto dagli ultimi Katatonia quanto dalla più plumbea scena dark rock dei primi anni ottanta, pescando a piene mani dall’angoscia messa in musica così plasticamente da gruppi quali Bauhaus, Joy Division e primi The Cure, mentre l’elemento propriamente black metal è relegato decisamente in secondo piano, sopravvivendo più che altro a livello di feeling. Personalmente in questa formula non vedo nulla di così innovativo o geniale: si tratta di un percorso già intrapreso, e con risultati in molti casi anche migliori, da bands come Joyless, Woods Of Infinity e, per certi versi, ultimi Shining. Se l’esordio dei Lifelover ed anche, ma in misura minore, il successivo “Erotik”, erano album freschi e genuini nella loro palpabile follia intrisa di autoironia, questo “Konkurs” suona meno spontaneo e, almeno a giudizio di chi scrive, molto più costruito e plastificato, pur essendo composto ed eseguito con indiscutibile perizia. Se questo disco voleva essere una rappresentazione in musica della malattia e della degenerazione, il risultato finale deve considerarsi frustrante e superficiale.
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