Full length album d’esordio per Kaula, progetto italiano capitanato da Pietro Riparbelli, già in forza agli oscuri Tele.S.Therion, che debutta con questo lavoro sotto l’egida di una casa discografica ceca, la Doomentia Records. Il concept dell’opera è incentrato sull’investigazione della religione Hindu ed in particolare del culto della dea Kalì. Le liriche sono tratte da un antico testo del tantrismo shivaitico, “Avadhuta Gita” appunto, del quale riprendono i versi traducendoli in lingua inglese: Avadhuta Gita può definirsi, in estrema sintesi, come lo stato spirituale di chi si è completamente distaccato dalle preoccupazioni e dai beni terreni ed ha raggiunto una situazione di beatitudine e liberazione equivalente all’“esistenza di Dio”. Musicalmente siamo di fronte ad una sorta di slow black/death metal dai ritmi cupi e trascinati, che sfocia in varie occasioni in territori vicini al funeral doom più pesante e mortifero. Tra i gruppi più frequentemente chiamati in causa si potrebbero citare Tristitia, Nortt, Funeral, Esoteric ed in alcuni frangenti addirittura i Beherit più pachidermici e cavernosi. A questa miscela si aggiungono tratti sperimentali alla Black Funeral: sovrapposizioni di rumori indecifrabili, strane linee sonore che si inseguono senza apparente costrutto, note di organo che sembrano provenire da spazi insondabili. Queste intrusioni non sono però estranee al corpo delle canzoni, ma anzi si amalgamano con naturalezza alla musica, risultando così digeribili anche per l’orecchio abituato a sonorità più ortodosse. Il cantato è una sorta di screaming/growling che si mantiene su tonalità basse e monocordi, particolarmente appropriato al genere proposto, al quale si aggiunge, specie nell’intro e nell’outro dei brani, una voce femminile sospirata e sibilata. Le chitarre corpose ed una batteria dal suono profondo contribuiscono in modo determinante a creare quell’atmosfera plumbea ed oppressiva che rappresenta la cifra essenziale dell’album. La produzione è ottima: sepolcrale ma potente e nitida quanto basta. Kaula è un progetto sufficientemente coraggioso ed originale, sia sotto l’aspetto musicale che lirico: una boccata d’ossigeno per la scena italiana, troppo spesso schiava di rigidi schemi autoimposti.
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