Osannati (a torto? a ragione?) da parte della critica specializzata, giungono alla seconda fatica sulla lunga distanza i tedeschi Necros Christos, dopo l’esordio “Triune Impurity Rites”, pubblicato nel 2007, e la consueta trafila di demo, split ed ep. Questo “Doom Of The Occult” è un album veramente monolitico, che propone oltre settanta minuti di black/death dall’andamento lento e meditato, che sfocia spesso nei territori paludosi del doom più sulfureo e mefitico. La band propone un concept un po’ confuso, che va a pescare tanto nell’esoterismo dell’antico Egitto e del Medio Oriente quanto nei più blasfemi ed oscuri riti ancestrali indiani. Ciò che interessa al quartetto di Berlino è probabilmente soltanto officiare il proprio misterioso rituale, dando corpo attraverso le proprie note ad un’atmosfera opprimente, e sotto questo profilo si può affermare che lo scopo sia stato, almeno in parte, raggiunto. Le canzoni hanno infatti un che di marziale, avvolgente, magico ed ipnotico; ascoltare per credere la lunga suite “Doom Of Kali Ma/Pyramid Of Shakti Love/Flame Of Master Shiva”: le trame chitarristiche si dipanano lente disegnando con pochi tocchi paesaggi infernali; la sezione ritmica è precisa e puntuale ma nulla più, con un basso cavernoso ben in evidenza; il cantato è un growling soffocato, a tratti forse manieristico e poco espressivo; la produzione è sorprendentemente pulita ed heavy, ma un po’ di grezzume in più non avrebbe guastato. Ai pezzi veri e propri si affiancano numerosi intermezzi, che, se inizialmente possono sembrare accattivanti e funzionali a spezzare l’inevitabile immobilismo sonoro di un lavoro volutamente pachidermico, alla lunga lasciano il tempo che trovano: anche senza il disco non avrebbe nè perso nè guadagnato nulla, ma questo pare essere una sorta di marchio di fabbrica dei nostri, che avevano inserito con abbondanza tali intermezzi anche nel loro precedente full length. Abbiamo così i vari “temple”, nient’altro che intrusioni di organo e tastiere, che vorrebbero, senza riuscirci, aumentare l’afflato occulto del lavoro; ed i vari “gate”, nei quali fanno la loro comparsa strumenti tradizionali dal sapore vagamente folkeggiante, come il sithar, chitarre acustiche, flauti e percussioni tribali, a costruire melodie dal sapore mediterraneo, a tratti riprese anche negli assoli che costellano le varie canzoni. Il tutto però diventa estremamente ripetitivo ed appesantisce la fruizione di un’opera già di per sè difficilmente digeribile: se queste variazioni sul tema fossero state confinate a qualche sprazzo all’interno dei brani sarebbero risultate sicuramente più efficaci. I limiti di questa release sono evidenti: l’eccessiva prolissità, la macchinosità e la staticità delle soluzioni adottate, che strappano più di uno sbadiglio. A ciò aggiungerei che i Necros Christos non inventano proprio nulla: il concept è ripreso da gruppi come Melechesh e Nile mentre la musica ripropone stilemi noti, che richiamano i vari Acheron, Incantation, Asphyx ed in certi casi perfino gli Archgoat meno putridi (vedi l’attacco di “Necromantique Nun”). Il che non è necessariamente un difetto. La band però si lascia prendere la mano e mette troppa carne al fuoco; quando il gruppo riesce invece ad essere meno dispersivo e ridondante centra l’obiettivo: “Visceras Of The Embalmed Deceased”, con i suoi ritmi trascinati, è l’esempio di ciò che questo album avrebbe potuto essere ed invece non è. Chi predilige un metal estremo plumbeo, giocato sul feeling più che sulla violenza, ed è maniacalmente attratto dalle sonorità sopra descritte, potrà aggiungere tranquillamente alla valutazione finale qualche punto in più. Per tutti gli altri la cautela è d’obbligo.
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